Emmanuel Lévinas

Da LogicaUnitaria.

Emmanuel Lévinas (Kaunas in Lituania 12 gennaio 1906 – Parigi, 25 dicembre 1995) è stato un filosofo francese di origini ebraico-lituane.

La vita

Nel 1917, all'età di undici anni, visse le vicende della rivoluzione russa a Charkiv, in Ucraina.

Trasferitosi nel 1923 in Francia, frequenta l'Università di Strasburgo, seguendo i corsi di Blondel e Halbwachs. A partire dal 1928-1929, Lévinas si reca presso Friburgo per ascoltare le lezioni di Husserl, ma – racconta l'Autore – ivi trovò Heidegger. Nel 1929, inoltre, presenzia ai seminari di Davos, assistendo al confronto fra Heidegger e Cassirer. Ultimato, nel 1930, il dottorato di ricerca con una tesi intitolata La teoria dell'intuizione nella fenomenologia di Husserl (La théorie de l'intuition dans la phénoménologie de Husserl), questa sarà pubblicata lo stesso anno, concorrendo alla diffusione della fenomenologia husserliana in Francia. Nell'ambiente della Sorbona stringe i suoi rapporti con Wahl (già suo relatore di tesi), Marcel, che lo invita alle sue riunioni del sabato sera, e con la giovane avanguardia.

Lévinas ritenne la filosofia heideggeriana il punto in cui la fenomenologia «ha forse raggiunto il suo culmine», e cionondimeno egli non poté mai scusare «lo Heidegger del 1933-34».

A partire dal 1931 risiede a Parigi, dove insegna all'École normale israelite orientale (assumendone la direzione dal 1946 al 1961), acquisendo convintamente la cittadinanza francese. Ivi ha modo d'incontrare Lacan, Merleau-Ponty, Aron, e di frequentare le importanti lezioni di Kojève. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1939, Lévinas, chiamato alle armi, è catturato dai nazisti e condotto in un campo di concentramento col numero 1492. Durante gli anni di deportazione, periodo in cui l'Autore perdette quasi tutti i suoi congiunti (la moglie si salvò solo perché trovò rifugio in un convento di suore cattoliche), Lévinas mise insieme delle annotazioni, che saranno pubblicate postume, nel 2009, col titolo di Quaderni di prigionia (Carnets de captivité). Dell'esperienza dell'orrore nazionalsocialista dirà: «Fummo spogliati della nostra pelle di uomini. Non eravamo altro che una congerie di esseri inferiori. La mia biografia è dominata dal ricordo dell'abominio nazista».

Tornato in Francia, prese a collaborare con Wahl al Collège Philosophique, ove presenterà, tra il 1946 e il 1947, le quattro conferenze dedicate ai temi de Il Tempo e l'Altro (Le Temps et l'Autre), e, dal 1957, inizia le letture e i commenti del Talmud ai Colloques des Intellectuels Juifs de Langue Française, sulla scorta dell'insegnamento di Chouchani. Lontano dagli -ismi coevi (esistenzialismo, marxismo), Lévinas non aderì al movimento comunista, in quanto – sosterrà l'Autore – «rimanere non comunista significava conservare la propria libertà di giudizio in uno scontro di forze» (dopo la fine dell'esperienza del socialismo reale, tuttavia, Lévinas dichiarerà, in un'intervista rilasciata alla Spinelli, che il comunismo, «nonostante tutti gli eccessi e gli orrori, [...] rappresentava pur sempre un'attesa. Attesa di poter raddrizzare i torti fatti ai deboli, attesa di un ordine sociale più giusto»). Critico nei confronti dello strutturalismo, concentrandosi quest'ultimo sull'elemento incidentale della forma, e trascurando il senso (alla cui origine, invece, «sta la Parola di Dio»), Lévinas si oppone a Lévi-Strauss, il cui saggio, Tristi tropici, è definito come «il libro più ateo scritto ai nostri giorni, il libro assolutamente disorientato e più disorientante». All'indomani delle contestazioni del 1968, l'Autore dichiarerà la propria distanza da quel fenomeno che sembrava aver condannato tutti i valori come prodotti borghesi («Nel 1968, avevo l'impressione che tutti i valori fossero messi in forse come borghesi. Era impressionante. Eccetto uno: Altri»). Nel 1961, frattanto, vede la luce il capolavoro lévinasiano, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità (Totalité et Infini. Essai sur l'exteriorité), e, fra il 1964 e il 1976, insegna nelle università di Poitiers (1964 – 1967), di Paris-Nanterre (1967 – 1973) e alla Sorbona (1973 – 1976).

Insignito nel 1989 del Premio Balzan per la Filosofia, Lévinas muore a Parigi nel 1995 (sarà dipoi tumulato nel cimitero parigino di Pantin e ricordato da Derrida), concludendo una lunga carriera intellettuale che lo fece considerare una «delle alternative più geniali ed affascinanti, da un lato, alla crisi dei sistemi totalizzanti ogni forma di senso, come lo storicismo idealistico e quello marxistico, e, dall'altro, alle tentazioni post-moderne della messa in questione e/o la frantumazione di ogni possibile senso, come nel nietzschianesimo, nello strutturalismo, nel decostruzionismo» (Ferretti), risultando essere uno «dei filosofi essenziali [della] fine del secolo ventesimo» (Malka).

Il pensiero

L'elaborazione di pensiero di Lévinas rigorosamente fedele alla religione dei padri rigidamente monoteistica ossia di un Dio come Ente assolutamente singolare, parte dalla necessità per l'uomo di uscire dalla condizione mortale proprio come il pensiero di Franz Rosenzweig anch'egli legato all'ebraismo al cui interno però Rosenzweig a differenza di Lévinas include il cristianesimo come sviluppo ultimo dello stesso ebraismo e non come una nuova religione come invece è considerata dalla cristianità.

L'Essere in Emmanuel Lévinas è "il y a", ossia "c'è" in italiano, come ronzio caotico di un esistere anonimo; l'"essere in generale" quale forma impersonale e anonima dell'esserci al mondo e dell'esserci del mondo.


La recensione di Silvia Montefoschi del pensiero filosofico di Lévinas

"Questa etica sacrificale, nella quale Lèvinas vede il superamento dell'egocentrismo da lui imputato ad ogni ontologia totalizzante, sembra viceversa approdare ad un egocentrismo che raggiunge la sua iperbolica manifestazione."

(Silvia Montefoschi. "Escursione nella filosofia del xx secolo", 2006)


"[...] e ancora il riporre la propria identità personale nell'essere responsabile di tutto e di tutti è una inflazione maniacale dell'Io [...]"

(Silvia Montefoschi. "Escursione nella filosofia del xx secolo", 2006)


"Il superamento della logica dell'io sta, viceversa, nella totale rinuncia ad ogni decisionalità (foss'anche quella di farsi umile oggetto della decisione altrui) e nell'affidamento di sè, di tutti e di tutto ad una progettualità, trascendente sì, ma con la quale si coincide riconoscendosi attuatori della stessa per quel che a ciasscuno è dato attuare."

(Silvia Montefoschi. "Escursione nella filosofia del xx secolo", 2006)


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