Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Da LogicaUnitaria.

Hegel (1770-1831) è stato un filosofo creativo che ha saputo sintetizzare tutto il dibattito filosofico che l'ha preceduto in una nuova megasintesi filosofica che ha il suo perno nella sua nuova concezione della dialettica come dialettica processuale.

Una concezione della dialettica processuale che ha a sua volta come fondamento il concetto fondante di totalità.

Dopo il pensiero debole di Kant il nuovo e rivoluzionario pensiero forte di Hegel

Monismo assoluto materiale e spirituale

Sin dagli scritti teologici giovanili si oppone energicamente a quella separazione tra ideale e reale che era tipica del kantismo e che non lasciava spazio alla conoscenza del Reale, inteso questo come l'Intero dal quale la Ragione traeva il suo senso e il suo perché.

Per Hegel il presupposto della verità della conoscenza è un monismo assoluto di forme spirituali che si evolvono e si assolutizzano in un'unicità diveniente continua, dove il materiale e lo spirituale sono indistinguibili e connessi in un continuo superamento di "momenti" necessari del divenire storico per mezzo di una fenomenologia dove ciò che è posto trova la sua negazione e poi il suo superamento in una nuova figura (o appunto "fenomeno").

Si tratta di un processo teleologico necessario.


La separazione tra ideale e reale ad opera della religione

La separazione tra ideale e reale, tra cielo e terra, ebbe luogo, secondo il filosofo tedesco, con l'avvento del pensiero ebraico e con il successivo pensiero cristiano. La religione cristiana, derivata da quella ebraica, aveva staccato il senso della propria vita dalla vita stessa, ponendolo al di sopra della terra, in un dio lontano posto in cielo. Dio non apparteneva più all'intima natura delle cose, com'era, per esempio, presso gli antichi Greci, ma veniva scisso dal mondo; l'uomo così, lasciato al suo destino, viveva in uno stato, per così dire, di minorità dal quale, attraverso il senso del peccato e l'insoddisfazione per la propria esistenza, sentiva il bisogno di ricongiungersi con il senso vero delle cose. Con il cristianesimo era nato perciò quel senso di frustrazione e di pena, di infelicità concettuale nella "scissione", che per millesettecento anni aveva impedito di capire il vero senso dello Spirito.


La "coscienza infelice"

Hegel definisce tale stato di scissione o alienazione "Coscienza infelice". Quest'ultima è una situazione necessaria che serve all'uomo per ricercare quel senso dell'armonia perduta, per creare in lui la consapevolezza della propria esperienza tragica, la quale si risolve nell'aspirare alla riconciliazione finale con Dio, in una sorta d'armonia dinamica, con lo stesso significato che ne aveva dato Platone nel Sofista, quando si trovò a definire la Dialettica come rapporto dell'unità con la molteplicità. Questo fenomeno pregresso della storia dell'uomo è così descritto da Hegel:

« Questa coscienza infelice scissa entro se stessa è così costituita che, essendo tale contraddizione della sua essenza una coscienza, la sua prima coscienza deve sempre avere insieme anche l'altra. In tal modo, mentre essa ritiene di aver conseguito la vittoria e la quiete dell'unità, deve immediatamente venire cacciata da ciascuna delle due coscienze. » (Hegel, Fenomenologia dello spirito, 1807)

L'atteggiamento di Hegel si pone allora come una negazione del cristianesimo ma anche come suo assorbimento nel procedere storico. L'Aufhebung (il Superamento) è possibile se, come dice più avanti con la fusione dell'effettualità reale con l'autocoscienza:

« Tale coscienza deve pertanto innalzare all'assoluto divenir-uno il rapporto inizialmente esteriore verso quell'intrasmutabile figurato, come fosse un'effettualità estranea. Il movimento nel quale la coscienza inessenziale si adopera a raggiungere questo esser-uno è un triplice movimento, secondo la triplice relazione che essa assumerà in rapporto al suo al di là che ha forma e figura: in primo luogo come coscienza pura, poi come essenza singola, comportantesi verso la effettualità come appetito e lavoro, e in terzo luogo come coscienza del suo essere-per-sé. » (Hegel, Fenomenologia dello spirito, 1807)


La nuova definizione dell'Assoluto

È su questa strada speculativa che si determina la nuova definizione dell'Assoluto come unione di finito ed infinito ma anche come non-unione, opposizione di finito ed infinito e immanenza dell'Assoluto nel mondo.

Questa concezione può sembrare, quindi, simile alla visione spinoziana dell'assoluto che coincide con la natura del Deus sive Natura; ma Spinoza intende una coincidenza statica di sostanza come assoluto con la natura mentre per Hegel è soggetto spirituale in divenire ovvero egli afferma che la realtà non è ipostaticamente sostanza, qualcosa d'immutabile ma soggetto in continuo divenire.

Elementi della definizione dell'Assoluto hegeliano, secondo alcuni interpreti, sembrano ispirati dal neoplatonismo di Proclo, a proposito della dialettica dello spirito divino.


L'assoluto di Hegel

Hegel inaugura una nuova concezione dell'Assoluto, in grado di risolvere, a suo modo di vedere, le aporie delle metafisiche precedenti, incapaci secondo lui di spiegare perché Esso abbia bisogno di generare la molteplicità.

Egli Lo concepisce come l'Uno di Plotino in senso rovesciato: mentre quest'ultimo restava collocato su un piano mistico e trascendente, a partire dal quale generava il divenire e si disperdeva nel molteplice senza una ragione apparente, l'Assoluto hegeliano entra nel divenire per rendere ragione di sé. La molteplicità serve, dunque, all'Uno per poter diventare alla fine consapevole di sé, per riconoscersi, attraverso vari passaggi, in se stesso.

La prospettiva plotiniana, dove la consapevolezza che l'Uno ha di sé era posta all'origine e si affievoliva man mano che esso si sperdeva nel molteplice, risulta così capovolta: per Hegel l'Uno si trova all'inizio disperso nel molteplice e prenderà coscienza di sé solo alla fine, acquistando concretezza nel suo percorso mondano.

Questa nuova concezione comporta il sovvertimento della logica di non-contraddizione, dato che l'Uno viene ora a coincidere con il suo contrario, cioè con la molteplicità.

L'Assoluto hegeliano non è più qualcosa di statico, che si trovi già «in sé e per sé», ma è un divenire, un essere per sé, la cui verità scaturisce da una dimostrazione dialettica, anziché essere posta con un'intuizione originaria.

In Hegel certezza e verità tornano a coincidere, così come pensiero ed essere, ma in forma mediata (dalla ragione).


La Fenomenologia dello Spirito

È sulla base di questa nuova visione dell'Assoluto che si possono intendere le critiche di Hegel alle filosofie precedenti di Kant, Fichte e Schelling. Nei confronti di Schelling, Hegel lamenta, a partire dalla Fenomenologia dello spirito, l'assenza della prospettiva metodologica della dialettica. Per quanto concerne la conoscenza del Reale, che per Schelling si risolveva nella indifferenziata sinossi di ideale e reale, è "la notte in cui tutte le vacche sono nere", come commenta Hegel nella prefazione della sua opera.

Proprio in virtù di questo attacco alle filosofie precedenti La Fenomenologia dello spirito cerca di spiegare la storia del pensiero, attraverso un divenire, nel tempo e nelle epoche, dell'esperienza della coscienza, che Hegel intese come sottotitolo alla sua opera e che meglio inquadra il suo testo. L'opera descrive i tre momenti che, nella storia, hanno caratterizzato la cultura umana e che si ripetono continuamente nella vita di ciascun individuo, con l'intento di dimostrare, laddove ce ne fosse bisogno, la contemporaneità del modello astratto e del modello concreto, affinché, attraverso i fatti della storia, possa dispiegarsi, rendendo conto di sé, il divenire dello Spirito.

La prima posizione che lo Spirito ha assunto nella storia è quella dello stato ingenuo dell'armonia originaria, rappresentata dai Greci, dove le forze del dio erano presenti nella natura stessa delle cose, un aspetto del pensiero che contraddistingueva anche le religioni più primitive (animismo).

Il secondo momento è quello della scissione dal dio, introdotto dalla religioni abramitiche; Dio si manifesta all'uomo, ma, attraverso il peccato originale, opera la scissione; l'uomo, come un angelo caduto, sperimenta l'angoscia e il dolore nella Valle di lacrime che il Padre celeste ha posto per lui: è il Medioevo, l'età che precede la modernità fino a Kant.

Il terzo momento è scandito dall'avvento della Ragione, lo Spirito si eleva ad una consapevolezza compiuta, conscio della tristezza della scissione, vuole riconciliarsi con il mondo, diventa così Autocoscienza, la presenza attiva di uno Spirito nel mondo che si riconcilia con il mondo stesso, è, dunque, lo Spirito infinito, non più rappresentato dalla sostanza che è posta staticamente al di sotto delle cose, ricoperte dalla loro apparenza fenomenica. La realtà è Soggetto, attività e automovimento.

Non sono le cose che procedono dall'Assoluto, ma l'Assoluto è questo stesso procedere. Da ciò se ne deduce che per Hegel la Realtà è infinita, è un Soggetto che tiene i fili della storia e che parla attraverso i suoi uomini, quegli uomini che la storia l'hanno sempre fatta in prima persona, che come strumenti nelle mani di questo ineluttabile essere supremo, ne operano il naturale svolgimento. Cosicché le vicende del mondo non sono estranee alla storia dello Spirito perché la storia del mondo è la storia stessa di Dio, è la storia dell'avvento dello Spirito, del realizzarsi della Ragione.


Reale e razionale

Tra essere e pensiero, tra realtà e razionalità vi è assoluta compenetrazione e connessione. Il Pensiero è pensiero dell'essere e l'Essere è essere del pensiero. Lo sviluppo della realtà è ragione in movimento:

Tutto ciò che è razionale è reale (il pensiero sarà certamente razionale e non immaginazione, fantasia, quando troverà la sua corrispondenza con la realtà); e tutto ciò che è reale è razionale (nel senso che è inconcepibile che nella realtà ci sia qualcosa di refrattario al pensiero, qualcosa di estraneo ad esso).

Mentre la logica classica partiva da un punto A del tutto a priori rispetto all'esito del ragionamento (B), nella dialettica hegeliana il flusso logico che va da A a B, dove questo antiteticamente contraddice ma non annulla (aufheben), spinge ad arricchire la tesi iniziale in una sintesi onnicomprensiva (C). Allora la logica, che studia i processi del pensiero, troverà la sua corrispondenza nella metafisica, che studia i processi della realtà. Una delle colpe di Kant è stata quella di avere privato con il criticismo il popolo tedesco della metafisica, ma un popolo senza metafisica è come «un tempio senza santuario». Bisogna restituire alla speculazione la metafisica identificandola con la logica.

La logica hegeliana vuole presentarsi come la logica del concreto opponendosi a quella aristotelica, logica dell'astratto, che coglie la realtà nella sua struttura formale, che astrae dal contenuto. È una logica quella aristotelica che esprime un pensiero che astrae dalla vita.

Hegel realizza, in questo percorso della Ragione, l'unità di forma e contenuto; la vita intesa non più come astrazione formale, con un insieme di nozioni tra loro isolate, ma compresa in un suo sviluppo interno.


Una nuova concezione della dialettica

Hegel riconosce nel pensiero di Kant l'oggettività di questo pensiero puro, ma esso è rimasto prigioniero della finitezza umana, di quell'orizzonte che per forza di cose ci fa fantasticare di mondi separati o cose in sé, senza costruire niente di veramente razionale, di veramente oggettivo.

Hegel definì il trascendentale di Kant come una sorta di psicologismo che si fermava al fenomeno ed era perciò incapace di andare alla cosa in sé. Nelle tre parti in cui viene definita la logica, come scienza pura della ragione, Hegel distingue le tre dottrine principali della logica oggettiva, distinguendole in Dottrina dell'essere, Dottrina dell'essenza e Dottrina del concetto.

La struttura, la vita, il procedimento dello Spirito è la dialettica non più intesa come quella aristotelica costituita dai due momenti della tesi e dell'antitesi ma da un movimento a spirale con ritmo triadico a tre lati, secondo il quale ogni posizione (tesi) deve essere superata, negata (antitesi) nelle sue determinazioni particolari, per riaffermarsi, negando l'ultimo stadio raggiunto, con la negazione della negazione (quindi con una nuova affermazione), in una determinazione superiore (sintesi).


L'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio

Nella Fenomenologia dello spirito, l'opera in cui Hegel descrive la Scienza dell'apparire dello Spirito stesso attraverso delle tappe del suo percorso, si possono identificare due piani:

il primo è la via che percorre lo spirito per giungere a sé attraverso tutte le vicende della storia del mondo;

il secondo è la via del singolo individuo empirico che deve ripercorrere quella stessa via ed appropriarsela.

Secondo Hegel la libertà individuale non esiste e tutto è determinato nello Spirito e dallo Spirito, che è anche Ragione e Idea e, insieme, il Dio di Platone, quello di Plotino, di Proclo e di Spinoza. Il Dio di Hegel è necessità assoluta che si fa identità assoluta. Nell'Enciclopedia delle scienze filosofiche scrive:

§149. Quindi la necessità è "in sé" un'unica essenza identica "con sé".

§150. Ciò che è necessario è "in sé" relazione assoluta. Nella sua processualità la relazione si nega e si supera [Aufhebung] in assoluta identità.

"Il tutto è l'essenza che viene a compimento mediante il suo sviluppo, di esso si può dire che è essenzialmente risultato, che esso è alla fine quello che in realtà è."


Da Eraclito ad Hegel

Hegel in un certo senso riprese Eraclito affermando che ogni realtà scaturisce dal suo opposto: ad esempio, l'atto conoscitivo o gnoseologico che mette in rapporto dialettico X con Y, diventa anche un atto ontologico.

Il fatto che X venga conosciuto grazie al rapporto con Y (e viceversa), fu cioè interpretato da Hegel come se X possa esistere grazie al rapporto con Y (e viceversa).

In tal modo egli rinnegò la logica formale di non-contraddizione, che era quella classica e lineare enunciata da Aristotele, in favore di una nuova logica "sostanziale", che è insieme forma e contenuto.

Il dopo Hegel ovvero le critiche a Hegel

Nonostante abbia goduto di ampio consenso per quasi tutto l'Ottocento, Hegel e la sua filosofia sono stati oggetto di numerose critiche. Già l'ultimo Schelling vedeva in lui una grave impostura di fondo: dal fatto che una realtà sia razionalmente pensabile, infatti, Hegel concludeva che questa debba necessariamente esistere. Per Schelling è assurdo: il pensiero può stabilire soltanto le condizioni negative o necessarie (ma non sufficienti) perché qualcosa esista; la realtà effettiva, invece, non può essere creata, determinata dal pensiero logico, perché nasce da una volontà libera e irriducibile alla mera necessità razionale. Le condizioni positive che rendono possibile l'esistenza scaturiscono da un atto incondizionato e assoluto che, in quanto tale, è al di sopra di ogni spiegazione dialettica, mentre Hegel intendeva fare dell'Assoluto proprio il risultato di una mediazione logica, che giungerebbe a consapevolezza di sé solo a conclusione del processo dialettico.

« Per quanto riguarda Hegel, questi si vantava proprio di avere Dio come Spirito Assoluto a conclusione della filosofia. Ora, si può pensare uno Spirito Assoluto che non sia al contempo assoluta personalità, un essere assolutamente consapevole di sé? » (Schelling, "Filosofia della rivelazione")

Secondo Schelling è in particolare nella Natura, regno della caduta, che la filosofia hegeliana mostra tutti i suoi limiti, incapace com'è di cogliere l'aspetto volontario e non necessario del passaggio alla realtà. Il presunto estraniarsi dell'Idea nell'«Altro-da-sé» infatti avviene sempre all'interno del processo iniziale, in una maniera automatica che non rende ragione della caducità e della disgregazione a cui la Natura spesso è assoggettata. (Riferimenti: Leonardo Lotito, "Potenza e concetto nella critica schellinghiana a Hegel")

Tra gli altri critici, il filosofo anti-idealista Arthur Schopenhauer definì Hegel «un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato, che raggiunse il colmo dell'audacia scarabocchiando e scodellando i più pazzi e mistificati non-sensi». Schopenhauer sostenne che, se si volesse istupidire un giovane, basterebbe fargli leggere le opere di Hegel per renderlo inetto a pensare. (Riferimenti: Arthur Schopenhauer, "Parerga e Paralipomena")

Questa critica viene menzionata ironicamente da De Sanctis nel saggio in forma di dialogo Schopenhauer e Leopardi, in cui appunto viene esposta l'opinione di Schopenhauer secondo cui per istupidire un giovane non bisogna far altro che dargli in mano un libro di Hegel, e quando quello leggerà che «l'essere è il nulla», «l'infinito è il finito», «il generale è il particolare», «la storia è un sillogismo», finirà con l'andare all'ospedale dei pazzi. (Riferimenti: Francesco De Sanctis, "Schopenhauer e Leopardi")

Schopenhauer criticò l'hegelismo soprattutto perché presuppone un mondo razionale, dominato dalla Ragione, dallo Spirito Assoluto, quando a lui invece il mondo appariva dominato da un impulso irrazionale e inconscio, da una volontà di vivere che spinge l'uomo (ma anche gli altri esseri viventi e persino la materia inanimata) ad agire e così a soffrire, almeno fino a quando egli non se ne liberi praticando le vie della catarsi come l'arte, l'etica e la vita ascetica.

Anche l'esistenzialista Kierkegaard criticò aspramente il sistema hegeliano, ravvisandovi un illusorio superamento delle contraddizioni della realtà, che a suo avviso sono lacerate da un drammatico aut aut, generatore dell'angoscia della scelta, mentre Hegel credeva di poterle sanare nella logica dialettica astratta dell'et et, della tesi e dell'antitesi, che trova sempre la sua soluzione nella finale sintesi progressiva.

La filosofia di Friedrich Nietzsche presenta, per molti versi, un'evoluzione di pensiero opposta a tutto il sistema filosofico hegeliano. Anch'egli come Schopenhauer, seppur in modo differente, criticava la visione di un mondo perfetto, razionale e sistematico presentata da Hegel. (Riferimenti: Karl Löwith, "Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX")

Di diverso tenore le critiche di Karl Marx e Ludwig Feuerbach, i quali rimproveravano ad Hegel il suo ideologismo, il fatto che questi facesse discendere la realtà dall'idea, mentre secondo loro sarebbe la base materiale, economica e storica, a generare quella teoria che poi, a sua volta, tornerà a modificare la prassi. Nonostante ciò, Marx fondava il suo materialismo storico sulla dialettica hegeliana, mirando appunto a prelevarne il nocciolo razionale nascosto nel "guscio mistico".

Più recentemente Karl Popper ha definito Hegel un "profeta del totalitarismo" (Riferimenti: K.Popper, "La società aperta e i suoi nemici. Hegel e Marx falsi profeti", vol.II) per la sua concezione della storia in cui prevale la dimensione assoluta dello Stato. Popper respingeva anche l'idea che la dialettica hegeliana avesse un valore reale e ontologico, essendo palesemente contraria al principio di non-contraddizione. Popper contestava il fatto che le contraddizioni possano essere accolte e accettate come un dato di fatto, mentre in realtà dovrebbero servire a testimoniare l'incoerenza di una teoria e a falsificarla. Hegel invece, sostenendo che la realtà è intimamente contraddittoria, si è sottratto ad ogni logica e quindi, con fare disonesto, al rischio stesso di poter essere confutato. In proposito, Popper si è rifatto a Kant e alla differenza che questi poneva tra "opposizione logica" e "opposizione reale". Esempi di opposizione reale erano per Kant il salire e il cadere, il sorgere e il tramontare, il debito e il credito: in tutti questi casi, ciò che chiamiamo negativo è nella realtà un positivo anch'esso, perché non esistono oggetti "negativi" di per sé. Se esistono non possono venir equiparati a un non-essere; la negazione può essere solo logica. L'opposizione che su un piano astratto assume come estremi A e non-A, sul piano reale ha come estremi A e B, cioè opposti che sono entrambi positivi, reali. Hegel invece, secondo Popper, ha attribuito alla realtà le caratteristiche della logica astratta, in maniera assurda, trasferendo le contraddizioni logiche dal pensare all'essere e sostenendo, come poi avrebbe fatto Marx, l'"oggettività" del negativo.

Tra i critici minori del pensiero di Hegel si possono annoverare infine anche coloro che lamentano la complessità formale dei suoi scritti come Alexandre Koyré secondo cui il linguaggio di Hegel sarebbe «incomprensibile» e «intraducibile» con il ricorso anche a giochi di parole non sempre centrati come il famoso "aufheben". Theodor Haering è convinto che sia «... un segreto di Pulcinella che nessun interprete di Hegel sia in grado di spiegare, parola per parola, una sola pagina dei suoi scritti.». Il filosofo Massimo Baldini in alcune sue pubblicazioni sul linguaggio filosofico, annovera Hegel fra i filosofi più criptici e oscuri insieme a Fichte e a Schelling. (Riferimenti: Massimo Baldini, Elogio dell'oscurità e della chiarezza, e sempre dello stesso autore "Contro il filosofese" e ancora "Parlar chiaro, parlare oscuro".

Da un "dopo Hegel" ad un "oltre Hegel"

L'influenza di Hegel sul pensiero filosofico fu notevolissima. Attirò a sé un immenso numero di ammiratori (Bauer, Feuerbach, Green, Marx, Bradley, Dewey, Sartre, Küng, Kojève, Žižek, Brandom), ma un'altrettanto ampia schiera di critici (Schelling, Kierkegaard, Schopenhauer, Herbart, Marx, Nietzsche, Peirce, Popper, Russell, Heidegger). Le sue concezioni di logica speculativa o "dialettica", di "idealismo assoluto", di "Spirito", di "negatività", di "sublimazione" (o "superamento" della contraddizione, Aufhebung in tedesco), la dialettica del "Servo/Padrone", la "vita etica" e l'importanza della storia influirono a tal punto che buona parte della filosofia successiva, il cosiddetto "dopo Hegel", procedette sostanzialmente sotto forma di critica a Hegel.

Noi riteniamo che solo con Sigmund Freud comincia un "oltre Hegel" e che tutta la filosofia successiva ad hegel o è uno sviluppo dell'hegelismo che quindi incorre anch'esso nei critici di Hegel o invece è uan critica ad hegel i cui aspetti proprositivi non vanno affatto oltre hegel.

Solo la psicoanalisi è invece Hegel oltre Hegel:


“Il metodo psicoanalitico è l’attuazione concreta della dialettica hegeliana, in quanto in esso è il soggetto umano e non più un soggetto astratto, a prendere da sé la distanza riflessiva per conoscere se stesso”

(S.Montefoschi, “Psicoanalisi e dialettica del reale”, 1984)


"Il soggetto dunque ritorna, ma nel suo ritornare, non è più trascendente, bensì immanente all'uomo che riflette su di sé e, qui sta l'originale, il soggetto non è più singolare, bensì duale, come sono due i soggetti che insieme riflettono all'interno della relazione psicoanalitica."

(Silvia Montefoschi, da "Oltre Hegel: la Psicoanalisi")


"E proprio all'interno della relazione psicoanalitica i due soggetti sono venuti, via via da allora, scoprendo, come realtà vivente, quella stessa dinamica del Soggetto Trascendente Hegeliano, quale percorso che lo Spirito fa per raggiungere la visione totalizzante di sé come Spirito Assoluto."

(Silvia Montefoschi, da "Oltre Hegel: la Psicoanalisi")


“A Hegel mancava la conoscenza dell’evoluzione”

(S.Montefoschi, “Psicoanalisi e dialettica del reale” 1984, cit.pag.127)



Altre pagine che trattano e approfondiscono questo stesso argomento


Bibliografia

Hegel, "Fenomenologia dello spirito", 1807

Hegel, "Scienza della logica", 1812

Hegel, "Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio", 1817

Hegel, "Lezioni sulla filosofia della storia, 1821


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