Discorso sull'amore

Da LogicaUnitaria.

Domanda: Ma allora, cos’è, per te, l’amore vero [...]?

Silvia Montefoschi: parto [...] dalla mia esperienza di che cosa l’amore è, per risalire alla sua origine.

L’amore è, comunque esso si manifesti, l’attrazione tra singole unità che, per il loro stesso esserci, devono porsi tra loro in relazione. L’amore è dunque sempre e soltanto relazione. Ma se l’amore è relazione, esso si dà, alla radice di ogni sua manifestazione, in due modalità relazionali: quella dell’interdipendenza e quella dell’intersoggettività.

Nella prima modalità relazionale, quella dell’interdipendenza, i due termini della relazione mantengono una costante equidistanza che è il necessario spazio conoscitivo grazie al quale i due possono vedersi e quindi esserci, equidistanza che si mantiene costantemente tale, in quanto generata da due forze o tendenze che si bilanciano a vicenda: quella dell’attrazione e quella della repulsione, le quali, proprio nel loro bilanciarsi, fanno sì che i due non si perdano di vista nel loro allontanarsi, progressivo e illimitato, fino a non vedersi più e quindi a non esserci, non riconoscendosi più l’uno nell’altro; e fanno ugualmente sì che i due non collabiscano l’uno sull’altro, annullando così lo spazio conoscitivo che consente loro di vedersi e quindi di esserci.

La forza attrattiva e la forza repulsiva scaturiscono a loro volta dal fatto che in ciascuno dei due termini della relazione si dà il simile all’altro e il diverso dall’altro, così che, mentre i diversi si attraggono per tornare a farsi simili, i simili si respingono per restare diversi senza mai raggiungere l’unione. Come nelle due calamite si danno entrambi i poli, il positivo e il negativo, così nei due uomini si dà sia il soggetto che l’oggetto.

La modalità relazionale dell’interdipendenza è quella che fa dell’amore il connettivo che mantiene la stabilità dell’intero sistema relazionale nel quale solamente l’essere si dà nel suo esserci reale. Stabilità questa, che però non è statica, pena il non essersi data l’evoluzione dell’intero universo, bensì dinamica. Proprio perché, con la modalità dell’interdipendenza interagisce la tensione verso la modalità relazionale dell’intersoggettività, che è quella in cui si arriva a realizzare l’unione fra i due che, fattisi simili, si riconoscono uno, pur conservando la loro distinzione.

La modalità relazione dell’intersoggettività, è dunque quella che fa dell’amore il motore dell’evolversi dell’essere in forme di esistenza sempre nuove. Sicché le due modalità interagiscono tra loro nella dialettica del divenire dell’unica realtà, che è tutto ciò che è nella sua unitarietà, quale manifestazione del pensiero uno, nei molteplici pensati di se stesso. Pensati nei quali il pensiero resterebbe frammentato se l’amore non li sospingesse a relazionarsi tra loro per ricostituire l’unitarietà. E in questo divenire del pensiero alla conoscenza di sé, nel pensarsi nei pensati di se stesso, pensati nei quali esso, il pensiero, prende vita dando vita alla vita, l’amore dell’interdipendenza, quale attrazione tra i singoli pensati tra loro diversi e complementari, i quali, a dispetto del loro attrarsi, restano separati, ferma la conoscenza raggiunta nella stabilità di un ordine dato.

L’amore dell’intersoggettività, viceversa, quale unione tra i due che, nel riconoscersi simili si fanno uno, crea, a partire da questo uno, una nuova forma di vita (come accade nello zigote), quale nuova conoscenza di sé del pensiero, la quale infrange e supera la conoscenza precedente. E in questa dinamica dialettica, che ha avuto inizio con la nascita dell’universo e che ha promosso la sua evoluzione, la modalità relazionale dell’interdipendenza ha sempre avuto la prevalenza nel tornare a stabilizzare le forme nuove dell’esistenza che la tensione verso l’intersoggettività creava, mediante catastrofi e rinnovamenti, e ciò fino alla nascita dell’uomo quale forma vivente che, per la prima volta ha saputo di sé come pensante ed ha saputo perciò anche della modalità relazionale dell’intersoggettività, la quale non si può realizzare se non nella dinamica del pensiero, perché solo nel pensiero i due possono veramente farsi uno.

Con la nascita dell’uomo, è avvenuto perciò che, arrivando il pensiero a sapere di sé come vivente e arrivando il vivente a sapere di sé come pensiero, l’amore, quale anelito dei due a ritornare all’uno, ha saputo di sé nel saperne dell’uomo come attrazione fra due soggetti pensanti. Attrazione questa che si manifesta nell’innamoramento che ha luogo quando i due della relazione si riconoscono l’un l’altro come fossero una sola persona.

Ma, facendo l’uomo ancora parte del regno animale (quale specie animale uomo), egli ripone ancora la propria identità, quanto all’esserci come forma vivente, nella forma corporea materiale che, in quanto tale, lo fa percepire come un’entità separata dall’altra entità cui si relaziona e, per di più, il soggetto umano, sapendo di sé come soggetto pensante, vede l’altro come oggetto del suo pensare, dal quale necessariamente dipende, proprio per esserci come soggetto che pensa. Ciò fa sì che torni a confermarsi l’interdipendenza in cui si dà, nel contempo, l’attrazione e la repulsione. E ciò perché, essendo ciascuno dei due, sia il soggetto pensante l’altro come suo oggetto, sia l’oggetto pensato dall’altro quale soggetto, ognuno, in quanto soggetto, è attratto dall’altro quale suo oggetto, ma nel contempo ne è respinto perché l’altro, quale soggetto, fa di lui l’oggetto. Ed è ancora per ciò che l’innamoramento in cui balugina l’intersoggettività, presto torna all’amore dell’interdipendenza fra i ruoli, quello del soggetto e quello dell’oggetto, ruoli che, pur potendosi alternare a vicenda, restano costanti, mantenendo i due separati dalla distanza necessaria a mantenere in vita la relazione.

Questa modalità dell’amore nell’interdipendenza resta pertanto immodificabile fino a che il soggetto umano che fa parte del resto di una specie in transizione lungo l’evoluzione, non arrivi ad essere soltanto una presenza del pensiero che ama il pensiero o, di rimando, la presenza dell’amore che pensa l’amore.

A questo punto, sempre attenendomi al metodo che Filone propone, a partire dalla mia esperienza che mi ha reso evidente il come dell’amore, devo risalire alla sua origine.

Se l’amore è la tensione che spinge i due l’un verso l’altro per ritornare all’uno, deve essersi data necessariamente la loro separazione. Separazione che avvenne in un tempo ancor fuori del tempo, quando il pensiero “che era in principio” e che, dandosi solo in se stesso quale entità singolare non sapeva di sé, non potendosi vedere, per amore di sé, ovvero per il desiderio di esserci come esistente, separò sé da se stesso, e, attuando così il desiderio, attuò la potenzialità che in lui si dava, facendo di essa l’oggetto pensato come l’altro da sé, quale soggetto pensante, in cui potersi amare.

Avvenne così che l’atto e la potenzialità che si davano uniti come i due momenti del divenire del pensiero, ancora inconsapevoli di sé, si separarono per distinguersi l’uno dall’altro. E, nel sapere così di sé come enti distinti, poterono iniziare il loro dialogo d’amore e dare così l’avvio al divenire del pensiero, che era poi il loro divenire, nella crescente consapevolezza della loro distinzione, pur nella loro similitudine, fino a realizzare il ricongiungimento nell’unica persona in cui, il pensiero, che era in principio inconsapevole di sé, arriva a sapere di sé come l’unico vivente nel consapersi dei due eterni amanti: l’atto e la potenzialità, il maschile e il femminile e in fine l’uomo e la donna, liberati dai ruoli di soggetto e oggetto, che tuttora li mantengono separati.

Domanda: Se è così tu ci vuoi dire che sono inutili i tentativi di Filone di legare a sé Sofia, perché la coniunctio oppositorum non è possibile nell’esperienza contingente?


Silvia Montefoschi: Dal discorso che ho già fatto nel rispondere alla seconda domanda, la risposta che posso darti non può essere che di conferma. Sì, nell’attuale stato dell’esserci dell’essere, che è quello della dimensione materiale della vita, non si dà possibilità di congiungimento tra gli opposti, proprio perché gli opposti restando tali, non possono in nessun modo risolversi nell’Uno. Sono solo i simili che, proprio in quanto simili, possono riconoscersi uno. E la similitudine si dà soltanto nella dimensione del pensiero.


(Il testo completo originale dell'intervista alla psicoanalista Silvia Montefoschi sui "Dialoghi" di Leone Ebreo, uno scritto rinascimentale i cui protagonisti che dialogano sull'amore sono Filone e Sofia, è scaricabile in formato PDF al seguente indirizzo internet: http://www.ponsinmor.info/files/LeoneEbreoIntMontefoschi_nk31njxr.pdf )