Io sono la psicoanalisi

Da LogicaUnitaria.

A chi gli chiedeva se gli sarebbe servita la psicoanalisi Silvia Montefoschi rispondeva che non era la psicoanalisi che sarebbe servita a lui o lei ma che lei o lui sarebbero serviti alla psicoanalisi.

CONCEPIRE L’UNICO INDIVIDUO

Oltre la psicoanalisi e il concetto ancora psicoterapeutico di “guarigione” nella direzione di un “divenire dio”

Se poi a questa particolare visione sulla questione che aveva Silvia Montefoschi aggiungiamo che alla domanda di un suo allievo:

"Silvia se ho ben capito tu non fai resistenza al processo ma lo accetti."

Essa rispose:

"Io non accetto affatto il processo: io sono il processo"

(“Incontri con Silvia Montefoschi”, brano tratto dall’archivio audio di Andrea Morelli degli incontri con Silvia Montefoschi. E’ in progetto di riportarne i brani più significativi in una delle prossime edizioni di “Storia e Relazione” )


Io sono la psicoanalisi

Possiamo dedurne allora che dicendo "io sono il processo" abbia inteso dire anche "io sono la psicoanalisi": dunque la psicoanalisi pur essendo una disciplina è anche una persona proprio come il processo che non è altro da noi ma è noi stessi. Del resto Jung stesso disse che se aveva avuto la vita che aveva avuto era perchè lui era quello che era così come era e non poteva avere altra vita che quella che ha avuto.

Questa nuovo modo di intendere il processo psicoanalitico può apparire una caratteristica peculiare di Silvia Montefoschi che noi appelliamo anche come “l’ultima psicoanalista” in quanto chiude la storia centenaria della psicoanalisi, ma non è così nuova seppur dirompente, il modo di intendere la psicoanalisi da parte di Silvia Montefoschi, poichè addirittura il primo psicoanalista cioè Sigmund Freud infine, una volta conclusasi la prima fase dell’elaborazione del metodo psicoanalitico, fu proprio lui che arrivò a dire che la psicoanalisi è riduttivo continuare a volerla definire come una psicoterapia la cui finalità sarebbe la guarigione ma è molto di più, è una nuova via di conoscenza.

Quindi Silvia Montefoschi affermando ciò, dice la stessa cosa di Freud e a quanto diceva già Freud ai primordi della storia del movimento psicoanalitico aggiunge soltanto che questa via di conoscenza o “processo” “individuativo” per dirlo invece con le parole di Jung, non è altro da noi ma noi e il processo psicoanalitico siamo la stessa cosa.

“Io sono la psicoanalisi”: questa è quindi la mia traduzione di quanto affermato dall’ultima psicoanalista che proclamando “la morte della psicoanalisi ” dopo cento e passa anni di elaborazioni, proclama la identicità tra vita e processo psicoanalitico e con questa identicità viene meno l’alienazione di cui già la bibbia ebraico-cristiana parlava distinguendo tra “albero della vita” e “albero della conoscenza”.

“Io sono il processo”, “io sono la psicoanalisi”, significa quindi, almeno nella lettura che io ne dò del testo montefoschiano, che “io sono il processo conoscitivo che mi attraversa” e che quindi rifuggo dal considerare tale processo conoscitivo come una sovrastruttura altra dalla mia vera natura che sono costretto inevitabilmente e mio malgrado ad accettare e a sopportare come una croce innaturale e quindi anche come un destino ingrato.


Una questione di identità

In una parola: il processo conoscitivo è da considerarsi come la vera natura e la vera identità umana della nuova e vera umanità altra dalla più primitiva e preistorica vecchia umanità ancora ignara del suo vero destino evolutivo.

Teilhard de Chardin, teologo evoluzionista su questo punto è stato chiaro: “Noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana.”

E’ proprio questo equivoco che il metodo psicoanalitico o come noi diciamo anche, “la vita psicoanalitica”, intenzionata cioè in questo senso, è chiamata a dipanare e risolvere una volta per tutte. Nel linguaggio più rigoroso e meno letterario utilizzato da Silvia Montefoschi nei suoi testi, tutto questo si traduce dicendo che compito di quella nuova via di conoscenza sorta alla fine del 1800 ad opera di Sigmund Freud grazie principalemente alla interpretazione dei sogni quale via maestra per l’inconscio e alla trattazione del transfert, è quello di condurre a compimento una critica radicale del modello relazionale interdipendente.

In questo senso la psicoanalisi rappresenta una resa dei conti finale, uan sorta di “battaglia apocalittica di Armageddon” tra le forze entropiche e nichilistiche e le forze negaentropiche e vitali di una volontà di essere, sempre essere, eternamente essere.

Silvia Montefoschi, come vedremo dalla lettura della biografia nasce come biologa ed è principalmente nelle scienze biologiche naturali che si forma il suo pensiero, e solo dopo è giunta alla psicoanalisi. Questo significa che la spina dorsale di tutto il suo pensiero è l’introduzione della concezione evoluzionistica introdotta nel corso del 1800 nelle scienze naturali ma anche questo concetto di evoluzione nel pensiero psicoanalitico di Silvia Montefoschi va inteso come processo conoscitivo: è cioè la stessa natura che nel conoscer se stessa si trasforma dandosi nuova forma fino all’ultima forma che è la forma umana che non chiude la storia del processo evolutivo e conoscitivo ma è quella particolare forma che realizza il progetto di traghettare questo darsi forma del pensiero, dalle forme ancora materiali fino al pensiero puro o per dirla con un linguaggio che richiama il pensiero di Hegel e la dialettica soggetto-oggetto del fatto conoscitivo: “E infine il soggetto per esserci non avrà più bisogno di declinarsi ancora e necessariamente in un oggetto”.

E con questo abbiamo già anticipata la concezione del soggetto propria al “Pensiero Uno oltre la psicoanalisi” e la logica che gli è propria e che è la nuova logica unitaria: questa nuova concezione del soggetto è quella del nuovo “soggetto duale” che solo può dare il benservito e affrancarsi definitivamente dal vecchio e evolutivamente obsoleto soggetto riflessivo ancora individuale che è stato comunque il protagonista e l’artefice di tutta la storia evolutiva umana. Questo affrancamento è reso possibile in quanto solo un nuovo soggetto che sia duale e non più un soggetto ancora singolare può realizzare una super-riflessione in grado di demassificare l’intero universo sia materiale che psichico includendovi anche la noosfera quale sfera dei pensieri statici (la materia-memoria di cui parlava già Bergson) che è comunque ancora altro dalla vera dinamica del pensiero vivente.

La concezione dell’Unico Individuo

“Il rischio degli psicologi e degli psicoanalisti oggi è quella di appiattire la vicenda umana che è la vicenda universale dell’Unico Individuo.”

(Intervista a Silvia Montefoschi – Milano 2003)

Il disegno

“Ricordo un sogno di tanti anni fa in cui la sognatrice sognava: ” se stessa con una matita in mano su un foglio con la testa china, la sognatrice disegna ma non vede ciò che fa, allora io gli tiro su la testa e lei vede il suo disegno. In questo sogno è presente la metafora della psicoanalisi quale funzione riflessiva.”

(Silvia Montefoschi- Brano tratto da “Intervista a Silvia Montefoschi”)

La figlia di Hegel

“A Hegel mancava la conoscenza dell’evoluzione”

(S.Montefoschi, “Psicoanalisi e dialettica del reale” 1984, cit.pag.127)

“Il metodo psicoanalitico è l’attuazione concreta della dialettica hegeliana, in quanto in esso è il soggetto umano e non più un soggetto astratto, a prendere da sé la distanza riflessiva per conoscere se stesso”

(S.Montefoschi, “Psicoanalisi e dialettica del reale”, 1984)

Un possibile equivoco sull’Unico Individuo che è invece anche oltre la stessa coppia così come è comunemente intesa

“Solo quando la percezione dell’unione delle presenze pensanti uscirà dal chiuso di una esperienza personale, anche se fatta nella dualità della coppia dialogante, e si darà non più frammentata nei tanti incontri duali tra loro separati dallo spazio e dal tempo, si realizzerà un punto di vista ancora superiore dal quale si vede che l’essere tutto non è se non relazione.

Punto di vista questo che si dà ponendoci noi stessi oltre l’universo e che si realizzerà quando arriveremo a riconoscere la nostra identità solamente nella nostra presenza pensante; e ciò faremo superando la coazione a ripetere della percezione sensoriale, che ci costringe ancora nel limite della forma corporea materiale, forma questa che ci mantiene inevitabilmente separati, nel reciproco vederci ognuno oggetto della visione dell’altro come illusoriamente ci attesta il senso della vista.

E ciò che ci farà raggiungere questo estremo punto di vista del pensiero è ancora il lavoro che dobbiamo fare nel contenere la coazione a ripetersi della logica formale, e quindi nel continuare a esercitare la forza di volontà e vietarci, grazie alla costante vigilanza della presenza riflessiva, di aderire alla immediatezza verbale, che riconferma l’immediatezza del pensare giudicante, fondato radicalmente su la separazione dei contrari (come il vero e il falso, il bene e il male), in quanto già di per sè separa colui che giudica da quanto viene giudicato.

E solo nel perseverare in questo faticoso esercizio del mantenere costantemente vigile la presenza riflessiva, noi vediamo anzitutto il nostro ricadere nella logica della separazione e quindi il suo non essere più coerente con la visione unitaria, che sappiamo viceversa essere l’unica veritiera, solo così facendo noi operiamo ai fini che avvenga lo svelamento, nella percezione della nostra stessa realtà vivente, della logica dell’uno tutt’uno con l’uno che non può dire di sè se non è cio che è.”

(Silvia Montefoschi “L’avvento del regno specificamente umano”, 2004, pag.61)

Dalla psicoanalisi alla vita eterna

Quando finisce una psicoanalisi?

Finisce quando comincia la vita eterna.

Anche qui si tratta di nuovo di uan questione di identità ma la psicoanalisi è venuta proprio a risolvere i cosiddetti problemi di identità che tante malattie mentali miete.

La vita eterna, concetto per lo più utilizzato dalle religioni e non dal pensiero scientifico è la vita infinita, che non va però confusa con l'immortalità che taluni scienziati medici invece sembrano voler ricercare quale elisir di lunga vita.

Quando la psicoanalisi termina, termina perchè è iniziata la vita eterna, vale a dire che quella vita di cui le religioni hanno tanto parlato intuendola più o meno vagamente, la cosiddetta vita eterna, finalmente diverrà realtà concreta.

Non che ci sarà un’altra vita, la psicoanalisi oltre la psicoanalisi cioè il Pensiero Unito non è una bella favola consolatorio tipo oppio dei popoli, questa vita eterna sarà questa stessa vita che continuerà. La vita finita infatti non può che rimanere la vita finita proprio perchè è finita, sarà invece quella che già adesso, e quindi non dopo, è già la vita infinità che continuerà ad essere la vita infinita.

E' il processo stesso che è la vita infinita quindi ormai è chiaro per chi ad esso non fa resistenza, per chi si identifica, cioè per chi si fa tutt'uno con il processo evolutivo stesso che solo è quella vita infinita di cui filosofi e teologi tanto hanno parlato.

Tuttavia la vita eterna costa, costa proprio i vari paradisi delle varie religioni e infatti la vita eterna conseguenza naturale di una psicoanalisi riuscita necessita realizzare il processo di depersonalizzazione che è anche un processo di disappropriazione e in conclusione superare l'antroporiferimento.

Non si tratta di diventare santi ma di non riferire al proprio io nè il male ma neanche il bene: tutto ciò che è, è il processo.

L'ultima psicoanalista diceva: "E' quello che è".

Amor fati.

Abbandono alla divina provvidenza.