Contro l'utilitarismo e il pragmatismo

Da LogicaUnitaria.

L'utilitarismo e il pragmatismo sono atteggiamenti filosofici che apparentemente sembrano molto sensati eppure c'è chi dice: "Va bene avere i piedi per terra ma solo i piedi."

La filosofia dei tempi moderni, in alcuni casi in maniera esplicita, in altri solo implicita cioè non detta, mi muove una obiezione: a che serve stare con Thérèse Martin?

Che cosa posso rispondere a una simile obiezione se non e semplicemente che non serve a niente!?

Ho risposto esaurientemente a una simile obiezione?

Del resto non c'è da meravigliarsi di simili obiezioni poichè perfino della psicoanalisi alcuni si domandano a che serve, quale è la sua utilità sociale, come se esistesse solo la società e non anche l'evoluzione che invece va oltre la società essendo la società i rami orizzontali dell'albero che già stava nel giardino dell'Eden, mentre l'evoluzione è solo il tronco verticale di quello stesso albero genealogico.

Ma allora se non serve a niente stare con Thérèse Martin tu vivi senza senso?

Sarò più chiaro pur rasentando il semplicismo: il cane abbaia, il gatto miagola e Andrea Morelli sta con Thèrèse Martin. Tutto qua, niente di speciale: è la natura che fa il suo corso e la natura non serve a niente, non serve affatto: è e non serve. La natura funziona così e non centra niente invocare il soprannaturale tantè che è il mio istinto stare con Thérèse Martin e non ho bisogno di usare la testa anzi meno la uso e meglio è che anzi proprio la testa, anch'essa pragmatica e utilitarista, mi dice di non frequentarla ma di fare qualcosa di più utile che possa servire magari anche al prossimo.

Non c'è da stupirsi di simili obiezioni così sensate, obiezioni da bottegai e commercianti, poichè perfino ai tempi di Thérèse Martin cioè alla fine del 1800 lei stessa sentiva delle "voci" che gli dicevano le stesse cose: "Ma vai scema, che ti serve pregare Gesù dalla mattina alla sera. Stupida donnina fai qualcosa di più utile che tanto poi muori e vedrai se ci sarà il paradiso povera allocca credulona. Poi troverai solo il nulla rimbambita che non sei altro".

Il dottor Mabille psichiatra francese esponente negli anni venti del novecento insieme a Lacan, il noto psicoanalista, del movimento surrealista di Andrè Breton e Salvador Dalì (e Salvador Dalì ebbe l'imprimatur del vescovo Sigmund Freud per l'ineccepibile competenza in psicoanalisi dell'istrionico pittore) fu più buono con la mistica e teologa cattolica dicendo semplicemente "Poveraccia!" e invece prendendosela con le gerarchie della chiesa responsabili di pubblicizzare una religione fondamentalmente masochista. Accuse queste allora in voga sulla falsariga del filosofo Friedrich Nietzsche autore dell'"Anticristo - la maledizione del cristianesimo".

Ma queste obiezioni solo in parte hanno un senso se rivolte alla nuova incarnazione di Giovanna d'Arco poichè Thérese a proposito della vita dopo la morte diceva che "non vedo che cosa troverò di nuovo dopo la mia morte, perchè se si tratta solo di stare con Dio io con Dio ci sto già adesso e non ho bisogno di morire per poter stare con Dio."

E ancora aggiungeva che lei amava lavorare e pensando al paradiso diceva praticamente ma sintetizzo: "Che Noia!" e che avrebbe preferito andare all'inferno perchè così lì avrebbe potuto dare sfogo alla sua natura di grande lavoratrice per il bene della comunità dei beati cittadini della città nuova.

Ma ritornando alla questione della "testa" che è meglio non utilizzare, perfino Silvia Montefoschi, la grande psicoanalista, ha dovuto rinunciare ad usare la testa e solo rinunciandovi è divenuta l'ultima staffetta della storia del movimento psicoanalitico internazionale.

Lei stessa lo racconta: erano i primi anni del 1970 quando si sentì spinta a chiudere la finestra in modo di rimanere al buio. Non filtrava più nemmeno un fotone in quella stanza e lei prese la penna e iniziò a scrivere.

Iniziò a scrivere nel 1977 e terminò soltanto nel 2010.

Tuttavia accadde anche che ad un certo momento volle aprire la finestra e entrò un raggio di luce.

Quell'evento che a noi umani troppo umani darebbe anzi piacere invece bloccò quell'interminabile scrittura. Silvia però comprese e subito ripristinò il buio totale e così istintivamente ricominciò a scrivere e a trovare in automatico le parole che doveva inscrivere nell'Essere affinchè l'evoluzione potesse proseguire oltre l'umana specie.

Dunque perfino la testa della grande psicoanalista doveva essere ridotta al buio perchè il pensiero vero potesse parlare: il logos e non lo pseudo-logos, la parola nuova e non la memoria, i pre-giudizio, la ripetizione del già pensato.

Potrei e preferirei non personalizzare le mie riflessioni storiche-evoluzioniste perchè il rischio è sempre il narcisismo, ossia il mettersi le medaglie al petto quando noi non siamo i veri protagonisti della storia ma solo i suoi burattini, non di meno il fatto è che non si può dire "la logica unitaria" in astratto.

Dove sta la logica unitaria?

La logica unitaria è Andrea Morelli cioè una persona concreta in carne ed ossa.

A suo tempo la biologa Silvia Montefoschi mosse al grande Jung un'accusa di essere astratto. Silvia Montefoschi è una donna e si sa che le donne molto più degli uomini non amano le astrazioni. Silvia Montefoschi, una donna che è anche un uomo, voleva che Jung ci spiegasse dove stava questo benedetto "inconscio collettivo" la cui esistenza proprio Jung ci aveva svelato. Ma Jung non sapeva rispondere ed è proprio questo che gli valse da più parti l'accusa di misticismo. Silvia Montefoschi sappiamo che prima ancora di formarsi come medico-psicoanalista era stata una ricercatrice nel campo delle scienza biologiche così lei seppe dare quella risposta che Jung non aveva saputo dare: l'inconscio collettivo altro non era che il codice di informazioni racchiuso nella macromolecola del DNA.

Ritornando al pericolo del troppo personalizzare il discorso rischiando una deriva narcisistica mettendosi le medaglie al petto, tuttavia non bisogna essere troppo timorosi poichè si rischia un altro pericolo infatti sempre Silvia Montefoschi racconta che in un sogno presenta a una commissione di esame per un giudizio tutti i suoi scritti come fosse una tesi d laurea per ricevere il titolo di "dottore in medicina cattolica" cioè universale. Supera l'esame con un giudizio estremamente positivo tuttavia le negano il dottorato con la motivazione di non aver firmato con il suo nome l'opera (l'opus magnum di alchimistica memoria?).

Allora Silvia firma la sua opera con la dicitura "Silvia Montefoschi" ed ecco subito ceh viene insignita del dottorato in medicina cattolica.

Come dire: va bene non essere narcisistici ma il nome è un valore. Solo il nome però beninteso. Poichè è proprio il nome che realizza la nuova logica unitaria che pur contraria alla separazione necessita della "DISTINZIONE" tra l'uno e l'altro del discorso, pena la simbiosi tra i due termini del principio dialogico.


IL CANTO DELL'INTERO VERO


Io sono solo io (nome)

tu sei solo tu (nome)

ma tu sei me (l'Uno-Duale)

e io sono te (l'unico soggetto super-riflessivo)


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