Ex-terrestri

Da LogicaUnitaria.

L'oltretomba

Nello studio comparato di mitologie e religioni, oltretomba è un termine generico, equivalente ad aldilà, per indicare un luogo o una condizione di continuazione dell'esistenza (spesso solo in forma immateriale come anima o spirito) dopo la morte fisica.

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Un fiore, un cranio e una clessidra, che simboleggiano rispettivamente la Vita, la Morte e il Tempo, in un dipinto di Philippe de Champaigne

Il concetto di un oltretomba, nelle culture in cui essa è rinvenibile, si affianca alla cosmologia o più precisamente allo sforzo ordinatore in cui le diverse culture si sono impegnate.

Il concetto di oltretomba acquista una rilevante importanza sia nello sviluppo di diversi sistemi metafisici come teismo, panteismo, deismo, che nella loro critica come quella esercitata da ateismo o agnosticismo.

Tipologie di oltretomba

L'oltretomba può essere intesa di due tipi:

L'oltretomba negativo, ovvero un inferno da cui può derivare solo il male.

L'oltretomba positivo che rappresenta una fonte di potere straordinario che è proprio di una collocazione diversa da quella umana. Di conseguenza l'oltretomba positivo rappresenta il paradiso, luogo di benessere da cui può derivare solo il bene.

Questa classificazione è valida solo al fine orientativo per poter affrontare meglio le formulazioni delle diverse culture.


Etnologia

Le credenze relative al mondo ultraterreno sono molto varie tra le popolazioni di interesse etnologico in cui l'oltretomba si presenta come un passaggio dalla vita terrena al regno dei morti.

In genere il mondo ultraterreno ha posizioni ben precise come per esempio sotto terra, in un'isola, oltre le stelle ecc., strettamente collegate con le conoscenze geografiche e cosmologiche del popolo.

Quasi ovunque si ritiene che i due mondi siano strettamente interdipendenti: i vivi hanno bisogno dei morti e a loro si rivolgono per ottenere fortuna, abbondanza e fecondità; e anche i morti necessitano dell'aiuto dei viventi, in primo luogo perché vengano celebrati i riti funebri, poiché si crede che le anime delle persone non sepolte siano infelici, vaghino senza meta e in molti casi (Africa, sulka della Nuova Britannia ecc.) si ritiene che gli insepolti non riescano ad accedere all'oltretomba.

Il Cielo

Nei vari culti religiosi il cielo, inteso sia in senso fisico che prettamente spirituale, ha una grande importanza.

Esso è la sede delle divinità oppure una divinità stessa; talvolta il cielo stesso presta alla divinità stessa alcuni suoi attributi.[1] Presso i popoli primitivi la divinità celeste s'identifica in genere con quella suprema,[1] mentre quella sotterranea, ctonia, ne è in qualche modo nemica o contrapposta. Fin dall'antichità quindi il cielo era il luogo della trascendenza; vasto e sconfinato, dava l’idea dell’immensità di spazio, dell’universalità di pensiero, della pienezza del sentimento, della dolcezza e della grazia, della beatitudine.

Cielo e Paradiso

Comunemente cielo in senso religioso e paradiso sono considerati la stessa cosa; più precisamente cielo si riferisce alla manifestazione del Paradiso e alla sua organizzazione (il Paradiso di Dante, per esempio è diviso in nove cieli ai quali si deve aggiungere il Paradiso terrestre o Eden e l'Empireo). Non mancano però paradisi (intesi come luoghi di beatitudine per le anime rette) che non si trovano in cielo: un esempio sono i Campi Elisi o lo stesso Eden.

Una distinzione ulteriore tra cielo e paradiso emerge in sant'Agostino: il cielo è la dimora attuale di santi e beati ma la loro condizione è provvisoria: la beatitudine piena si avrà solo dopo il Giudizio e la parusia, con la risurrezione dei corpi. Solo allora santi e beati potranno accedere al cielo sommo, che Agostino chiama appunto paradiso. Questa posizione è criticata da Giovanni Scoto Eriugena, che si appella a Massimo il Confessore e a Gregorio di Nissa per ribadire che non si può determinare la futura dimora dei corpi dei beati, dato che la condizione paradisiaca non si applica a un luogo definito in senso spazio-temporale ma piuttosto a una differente condizione esistenziale.


Struttura dei cieli nella teologia cristiana

Basandosi sulla cosmologia tolemaica, i teologi cristiani identificarono sette cieli fondamentali, corrispondenti alle orbite dei pianeti visibili a occhio nudo. Costituiti da una sostanza eterea e priva di ogni difetto, contenevano il pianeta ad essi associato incastonato come una gemma. Di questi, il più elevato era quello di Saturno (donde l'espressione essere al settimo cielo, nel senso di raggiungere una grande felicità). A essi si aggiungeva un cielo delle stelle fisse o Firmamento e un Primo mobile (Primum mobile) che dava il moto a tutti gli altri. Vennero poi aggiunti (talvolta) due cieli cristallini e la sede di Dio (il cielo fisso detto Empireo) che portavano il computo finale a 12, numero importante per la mistica cristiana.[5]

L'esegesi moderna

Dal momento che la rivoluzione copernicana prima e l'esplorazione dello spazio poi hanno reso irrealistica l'idea di cieli composti da sfere orbitanti come sede di anime beate, l'esegesi moderna tende a considerare il cielo come un luogo immateriale o comunque appartenente a una realtà completamente differente da quella fisica tridimensionale (o dello spaziotempo quadridimensionale). Questa immagine ricorda almeno in parte l'episodio del martirio di Stefano, nel quale il Santo vede i cieli aperti, τοὺς οὐρανοὺς ἀνεῳγμένους toùs ouranòus aneōigménous (At 7,55-56), riferendosi quindi a una realtà non immediatamente visibile all'osservazione comune.

Il cielo come concetto interiore nel cristianesimo

Per il cristiano, che vuole vivere la sua fede in modo più alto, è riduttivo riferirsi al cielo come collocazione della divinità e guardare alle nuvole o alle stelle in modo stereotipato. Il cielo può essere anche nel profondo. Il latino altus significa sia alto che profondo (vedi la frase: nell’alto dei cieli). La migliore espressione cristiana del cielo è spiegata da San Paolo (1 Cor 15, 47-49): Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste.

I nove cieli dell'antichità e del medioevo

Nell'antichità e per tutto il Medioevo si credeva che ogni pianeta fosse collocato su una sfera di materia solida e trasparente. Queste sfere, concentriche tra loro e al cui centro si trovava la Terra, venivano chiamate cieli, e ciascuna prendeva il nome dal pianeta che ospitava: vi erano quindi, dall'interno verso l'esterno, il cielo della Luna, il cielo di Mercurio, quello di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno (i sette pianeti allora conosciuti; anche la Luna e il Sole erano considerati pianeti, mentre la Terra non lo era). Vi era poi, all'esterno di tutti questi, un ottavo cielo, detto "cielo delle stelle fisse", nel quale si trovavano le stelle (che si ritenevano avere tutte la stessa distanza dalla Terra); i teologi medievali aggiungevano inoltre un nono cielo, il Primum mobile, e l'Empireo, sede di Dio. Si riteneva anche che ciascun cielo venisse mantenuto in movimento da degli angeli a ciò deputati, chiamati anche intelligenze motrici (secondo alcuni vi era un angelo per ogni cielo, secondo altri uno per ciascun movimento - secondo il modello di Tolomeo infatti il moto di ogni cielo era dato dalla somma di più movimenti semplici).

Questa visione dell'Universo tramontò con l'affermarsi delle teorie di Niccolò Copernico e Newton (con la scoperta che la Terra è un pianeta si capì che non esistono cieli di materia solida; il principio di inerzia chiarì che i corpi celesti si mantengono in perpetuo movimento da soli senza bisogno di "spinte" angeliche), ma ne è rimasta traccia nel modo di dire "essere (o salire) al settimo cielo", che significa "raggiungere il massimo della felicità".

In realtà, la visione teologica, affermata nel Medioevo e ripresa dal sistema aristotelico-tolemaico, non sarebbe propriamente in contrasto con la visione scientifica (astro-fisica), portata da Copernico, in quanto la prima si riferisce alla dimensione metafisica (oltre la physis, cioè la natura), e non a quella fisica, a cui invece fa riferimento la seconda. In tal senso, la rivoluzione copernicana ha avuto il pregio di distinguere la dimensione fisica da quella metafisica (in opposizione ai teologi che affermavano una struttura fisica dell'universo nell'ottica tolemaica), ma non ha negato la struttura metafisica, nella quale Dio è il centro dell'universo e la fonte della vita che viene trasmessa e distribuita mediante i vari «Cieli».

Esperienze ai confini della morte

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Ascesa nell'Empireo di Hieronymus Bosch

Le esperienze ai confini della morte, note anche come NDE (acronimo dell'espressione inglese Near Death Experience, a volte tradotta in italiano come esperienza di pre-morte) sono esperienze descritte, in un certo numero di casi, da soggetti che avevano ripreso le funzioni vitali dopo aver sperimentato, a causa di gravi malattie o eventi traumatici, le condizioni di arresto cardiocircolatorio e respiratorio.

L'Esperienza di Jung

Una tra le più famose esperienze di questo tipo è certamente quella occorsa al medico psichiatra e pioniere della psicoanalisi Carl Gustav Jung, che descrive la propria esperienza di pre morte nel suo testo autobiografico Ricordi, sogni e riflessioni pubblicato solo nel 1961. Nel 1944 infatti un incidente, una frattura e un successivo infarto lo avevano portato in coma.

In una lettera dello stesso anno scrive:

"Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente… Prima o poi, i morti diventeranno un tutt'uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d'essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell'eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo."




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