Spinoza

Da LogicaUnitaria.

« Philosophieren ist spinozieren » « Filosofare è spinozare »

(Georg Wilhelm Friedrich Hegel, "Lezioni sulla storia della filosofia")


Baruch Spinoza (Amsterdam, 24 novembre 1632 – L'Aia, 21 febbraio 1677).

La vita

Le origini ebraiche

Baruch (in italiano Benedetto) Spinoza nacque da genitori ebrei sefarditi di origine portoghese che, in quanto marrani, ovvero forzati a convertirsi al Cristianesimo, ma che privatamente mantenevano le loro fede ebraica, erano stati costretti nel secondo decennio del secolo XVII per i suddetti motivi religiosi ad abbandonare il Portogallo e a stabilirsi nella protestante Olanda.

Il padre, Michael, era un mercante che aveva sposato in seconde nozze Hanna Debora da cui aveva avuto Baruch, rimasto orfano di madre all'età di sei anni il 5 novembre 1638.

Baruch fu inizialmente educato nella comunità ebraica sefardita di Amsterdam presso la scuola della comunità, studiò il Talmud e la Torah, portando a termine i primi quattro gradi di istruzione dei giovani ebrei dell'epoca.

Lo studio dei classici latini, di Cartesio e la passione per le scienze naturali

Nel 1649, in seguito alla morte del fratello maggiore Isaac, fu costretto ad abbandonare gli studi per aiutare il padre Michael nella conduzione dell'azienda commerciale della famiglia. La sua curiosità e la sua sete di conoscenza rimasero comunque inalterate, spingendolo a frequentare innanzitutto le yeshivot (gruppi di studio per adulti) della comunità e - in seguito alla maturazione di una sempre più marcata insoddisfazione nei confronti della vita e della religione ebraica e di un interesse crescente per altre idee filosofiche e scientifiche - la scuola di latino di Franciscus Van den Enden, a partire dal 1654. Come è noto, grazie agli inventari portati a termine dopo la morte del filosofo, la biblioteca di Spinoza conteneva un certo numero di testi in latino, tra cui opere di Orazio, Gaio Giulio Cesare, Virgilio, Tacito, Epitteto, Livio, Plinio, Ovidio, Cicerone, Marziale, Petrarca, Petronio, Sallustio, a riprova di una passione nata probabilmente durante il periodo vissuto a contatto con Van den Enden. Cosa più importante, oltre a questa preparazione in letteratura e filosofia classica, gli studenti di Van den Enden venivano quasi certamente messi al corrente di problemi più moderni, soprattutto di questioni attinenti allo sviluppo delle scienze naturali: è probabile che risalga a questo periodo della vita di Spinoza il suo primo contatto diretto con le opere di Cartesio.

La scomunica rabbinica e la conseguente espulsione dalla comunità ebraica

Il 27 luglio 1656 venne scomunicato e la sua messa al bando ufficiale venne letta nella sinagoga a cui apparteneva.

Secondo studi recenti, tra i quali quello di Steven Nadler, l'eresia principale che portò alla scomunica di Spinoza sarebbe stata il non credere all'immortalità dell'anima mentre Nicola Abbagnano e i principali studiosi di Spinoza individuano la causa dell'inconciliabilità del suo pensiero con l'ebraismo nella sua identificazione di Dio con la natura (Deus, sive Natura: Dio, ovvero la Natura) e nel rifiuto di un Dio-persona come quello biblico. Spinoza inoltre asseriva apertamente di ritenere la Bibbia una fonte di insegnamenti morali, ma non della verità; egli rifiutava il concetto di libero arbitrio e applicava la propria visione deterministica anche a Dio (negazione del creazionismo e della libertà di azione del Creatore): l'unica libertà che Dio ha nella visione spinoziana è l'assenza di costrizioni esterne.

Spinoza non divenne un docente universitario ma artigiano tornitore di lenti

Nello stesso anno della scomunica (1656), a ventiquattr'anni, Spinoza fu costretto a lasciare la casa del padre e dopo un breve periodo passato a casa di Franciscus Van den Enden, che lo ospitò senza chiedere nulla in cambio, se non un aiuto nelle lezioni di latino, dovette lasciare anche Amsterdam.

Nel 1660 si stabilì a Rijnsburg, in un villaggio presso Leida. Raccontava agli amici di aver persino subito un tentativo di assassinio una notte mentre tornava a casa e a riprova mostrava un mantello con il foro del pugnale. Dopo la morte del padre le sorelle cercarono di estrometterlo dall'eredità. Spinoza volle che i suoi diritti fossero rispettati e fece causa alle sorelle. Sebbene avesse vinto rinunciò a tutte le sue pretese e volle per sé semplicemente un letto con il baldacchino.

Prese dimora prima nel 1665 a Voorburg, sobborgo dell'Aia, e quindi nel 1670 definitivamente nella stessa città dove visse sino alla sua morte mantenendosi con il suo lavoro di tornitore di lenti. Soggiornò per tutta la vita in camere d'affitto e gli si attribuisce un solo legame sentimentale con la figlia del suo insegnante di latino. Aveva una piccola pensione dallo Stato e una rendita lasciatagli da un amico. Respinse altre offerte di aiuto economico e rifiutò la cattedra che gli era stata proposta a Heidelberg per non disperdere il suo tempo ad insegnare ai giovani piuttosto che usarlo per approfondire la sua filosofia. Poiché non sapeva entro quali limiti andasse intesa la libertà di pensiero, che l'università gli assicurava a condizione che non fosse disturbata la religione pubblicamente costituita, così concludeva:

« ... Perciò, dovete sapere, illustre signore, che non aspirando io a più elevata posizione mondana, di quella in cui mi trovo, e per amore di quella in cui mi trovo, e per amore di quella tranquillità, ch'io penso non poter assicurarmi altrimenti, devo astenermi dall'intraprendere la carriera di pubblico insegnante... »

Aveva uno stile di vita molto semplice, pur essendo contrario ad ogni sciatteria di maniera:

« Non è un portamento disordinato e sciatto che fa di noi dei saggi; anzi affettare indifferenza per l'aspetto personale è testimonianza di uno spirito povero, in cui la vera saggezza non potrebbe trovare adatta dimora e la scienza incontrerebbe soltanto disordine e scompiglio. »

Spinoza aveva un'istintiva avversione per il clamore e la pubblicità. Molto prudentemente pubblicò le sue opere nell'anonimato rifiutando di trasformare l'episodio della sua scomunica in una polemica che avrebbe danneggiato l'unità della comunità ebraica. Non seguì l'esempio dell'eretico Uriel da Costa suicida per protestare la sua libertà ma allo stesso tempo espose con fermezza le sue convinzioni religiose su un Dio immanente e politiche sulla necessità di uno Stato laico.

Tra le persone più eminenti che tennero carteggio con Spinoza si ricordano Enrico Oldenburg, segretario della Reale Società Inglese, von Tschirnhaus, Christiaan Huygens e Leibniz che lo andò a trovare nel 1676

L'ateismo religioso di Spinoza

All'età di 29 anni e dopo la drammatica esperienza dell'espulsione dalla comunità ebraica, Spinoza pubblica i Principi della filosofia di Cartesio, con l'appendice Pensieri Metafisici, opera che gli diede fama di esegeta della filosofia cartesiana. In questa data (1661), si era già formata intorno a lui una cerchia di amici e discepoli, con i quali intratteneva un nutrito scambio epistolare, fonte preziosa sull'andamento della sua riflessione.

Iniziò la scrittura dell'Etica nel 1661 a Rijnsburg, per poi tentare di pubblicarla una prima volta nel 1664, con il titolo di Methodus inveniendi argumenta redacta ordine et tenore geometrico. La scelta di adottare il metodo geometrico corrispondeva all'intenzione di rendere immediatamente evidente il carattere di verità, dimostrabile ed eterna, che aveva la sua filosofia. In realtà, l'opera vide la luce solo dopo la sua morte, nella raccolta delle Opera Posthuma (1677), voluta e messa a punto dai suoi discepoli a pochi mesi dalla sua scomparsa, che comprende anche il Trattato sull'emendazione dell'intelletto, il Trattato teologico-politico, l'Epistolario e una grammatica ebraica, il Compendium grammatices linguae hebraeae.

La pubblicazione del Tractatus theologico-politicus suscitò notevole scandalo negli ambienti ecclesiastici, tanto cattolici quanto protestanti, e da essi si diffuse la cattiva fama di un empio e blasfemo Spinoza.

La Chiesa cattolica inserì le sue opere tra i libri proibiti nel marzo del 1679 e confermò la condanna nel 1690. Non si conoscono censure alle opere di Spinoza, forse mai redatte in quanto l'autore era ateo ex professo. Cominciò così a formarsi quel mito di Spinoza ateo che trovò conferma, agli occhi dei suoi detrattori, con la pubblicazione (postuma) dell'Ethica, la cui prima parte, De Deo, sulla divinità, propone la definizione di Dio come l'unica ed infinita sostanza. Già nel primo periodo dopo la sua morte, la dottrina di Spinoza, interpretata come ateismo e come tale ampiamente condannata, incontrò invece fortuna presso i libertini che diffusero la fama di uno Spinoza ateo virtuoso. In realtà il suo panteismo era espressione di un profondo sentire religioso che rigettava ogni possibile autonomia del mondo rispetto a Dio, concepito perciò come immanente.

Spinoza affetto da congeniti disturbi respiratori, aggravati dalla polvere di vetro inalata a lungo nell'intaglio delle lenti morì di tubercolosi, il 21 febbraio 1677 a 44 anni. La sua eredità era così misera che la sorella Rebecca ritenne meno costoso respingerla.

Il pensiero di Spinoza

Uno Spinoza nietzschiano?

Così si espresse il filosofo e filologo Friedrich Nietzsche preso da un grande entusiasmo appena venne a conoscenza del pensiero di Spinoza:

“Sono pieno di meraviglia e di entusiasmo! Ho un precursore e quale precursore ! Io non conoscevo quasi Spinoza: per ‘istinto’ ho desiderato ora di leggerlo. Ed ecco che non solo la tendenza generale della sua filosofia è identica alla mia: - fare dell’intelletto la passione più poderosa; ma mi ritrovo ancora in cinque punti capitali della sua dottrina; questo pensatore, il più abnorme e solitario, mi è vicino in sommo grado appunto in queste cinque argomentazioni:

- egli nega il libero arbitrio;

- le cause finali;

- l’assetto morale del mondo;

- il disinteresse (das Unegoistische);

- il male.

Anche se tra Spinoza e me restano enormi diversità, queste sono da attribuire soprattutto alla differenza dei tempi, della cultura della scienza (…)”

L'etica in Spinoza

« Dopo che l'esperienza mi insegnò che tutto quello che si incontra comunemente nella vita è vano e futile, vedendo che tutto ciò da cui temevo e che temevo non aveva in sé nulla né di bene né di male se non in quanto il mio animo se ne commuovesse, stabilii finalmente di ricercare se ci fosse un vero bene che si comunicasse a chi l'ama e ne occupasse da solo l'animo respingendo tutte le altre cose: se ci fosse qualcosa, trovata e ottenuta la quale, io potessi in eterno godere continua e somma letizia. » (B. Spinoza, Prefazione al Tractatus de intellectus emendatione)

Quello che può essere definito il sistema spinoziano, basato sulla sintesi tra la filosofia e il pensiero scientifico dei suoi tempi e la tradizione metafisica antica, medioevale e rinascimentale, fondato sulla fusione tra le sue necessità esistenziali e il bisogno politico di una società ordinata razionalmente, è puntato a conseguire la soluzione di un problema etico.

La stessa vita di Spinoza con il rifiuto dei beni finiti e il distacco di ciò che ci presenta la sorte testimonia del tentativo di raggiungere con certezza questo bene vero ed eterno. Al conseguimento di questo fine per distaccarsi dai beni materiali e porsi nella dimensione eterna del vero bene occorre la conoscenza razionale liberandoci dai pregiudizi e dall'immaginazione.

Il dualismo cartesiano e i due diversi monismi di Hobbes e Spinoza

« Nessuno che abbia un'idea vera ignora che l'idea vera implica la massima certezza... nessuno può dubitare di questa cosa, a meno che non creda che l'idea sia qualcosa di muto a guisa di una pittura in un quadro, e non un modo di pensare, cioè l'atto stesso di conoscere; e, di grazia... chi può sapere di essere certo di una cosa se prima non è certo di questa cosa? Inoltre, che cosa si può dare di più chiaro e di più certo che sia norma di verità, se non l'idea vera? Senza dubbio, come la luce manifesta se stessa e le tenebre, così la verità è norma di sé e del falso. » (B. Spinoza, Ethica, II, prop.XLIII)

La ragione come strumento della ricerca del vero bene imponeva di accettare il criterio cartesiano dell'evidenza come segno di verità. Ma per Spinoza il fondamento di ogni verità non è il "cogito" ma Dio al quale anche Cartesio aveva tentato di arrivare.

Il cogito ergo sum di Cartesio introduceva la necessità che il pensiero chiaro e distinto trovasse la sua corrispondenza nella realtà. Solo questo assicurava che si trattasse di vera razionalità e soltanto questo permetteva di superare il cosiddetto dubbio scettico, che sosteneva di essere certo del proprio pensiero (come si può dubitare di se stessi? Come si può dubitare di dubitare?), ma dubitava appunto che al pensiero corrispondesse la realtà: la realtà infatti si acquisisce attraverso i sensi, che ci danno una falsa visione della realtà, come avevano insegnato antichi sofisti come Protagora.

Il criterio dell'evidenza, punto di partenza del Discorso sul metodo, ha sconfitto sì il dubbio scettico, ma ha fatto nascere la necessità dell'esistenza di due mondi, quello del pensiero (cogito) e quello della realtà (sum). E ciascuno di questi due mondi deve necessariamente far capo a una sostanza. Ma ecco che con Cartesio le sostanze sono due: la res cogitans (il pensiero) e la res extensa (la realtà). Questa impostazione origina diverse contraddizioni in termini: la sostanza è una e non può essere che una.

Cartesio pensa di superare questa difficoltà sostenendo che in effetti la sostanza è veramente unica: essa è Dio creatore sia della realtà che del pensiero. Insomma la res cogitans e la res extensa hanno un denominatore comune che è Dio, di cui Cartesio si premura di mostrare razionalmente l'esistenza.

Su questo punto però la pretesa dimostrazione cartesiana di Dio incontra il suo limite: egli si serve del cogito ergo sum, delle regole del metodo (premessa) per dimostrare l'esistenza di un Dio perfetto e veridico (conclusione) e quindi la conclusione (esistenza di Dio di verità) gli dimostra la validità della premessa (la verità del cogito ergo sum). È questo quello che è stato definito, da alcuni critici, il "circolo vizioso" cartesiano, nel quale la premessa giustifica la conclusione e questa a sua volta giustifica la premessa.

La dimostrazione dell'esistenza di Dio avverrà invece per Spinoza con l'applicazione del metodo geometrico che assicura una visione non solo razionale ma anche intuitiva unitaria della realtà che è tutta rappresentata dalla definizione della sostanza unica.

La soluzione di Hobbes

Anche Hobbes si era esercitato con lo stesso problema della sostanza unica e aveva fatto la sua scelta coerente con la scuola di pensiero inglese tutta rivolta alla realtà empirica e materiale. La sostanza unica è la materia. Tutto è materia compreso lo stesso pensiero. Cos'è il pensiero se non linguaggio oggettivato? Quindi dall'analisi del linguaggio possiamo dedurre l'origine di tutto e il termine più semplice ed originale è corpo con la sua caratteristica accidentale che è il moto. Il corpo infatti può essere in movimento ma anche in stato di quiete. E su questa sostanza corporea Hobbes costruisce il suo sistema materialistico meccanicistico deterministico onnicomprensivo. Dal corpo quindi partono dei movimenti che vanno a colpire i nostri organi di senso che compressi reagiscono con un contromovimento che mette in azione l'immaginazione che crea immagini che si vanno a sovrapporre ai corpi da cui è venuto il moto iniziale. Ogni corpo è quindi coperto da un'immagine che non ci fa cogliere la vera realtà della cosa. Ma non basta: noi traduciamo ogni immagine in un nome, che è convenzionale ed arbitrario. Quindi dalla vera realtà della cosa in sé ci separano due schermi: quello dell'immagine e quello del nome. Ecco allora che l'esigenza di certezze materiali che ispira la dottrina di Hobbes che vive nel turbolento periodo delle due rivoluzioni inglesi si traduce in un'interpretazione del reale, che nega la possibilità di conoscere direttamente la sostanza (fenomenismo).

La soluzione di Spinoza

Per Spinoza la realtà nel suo complesso è pienamente intelligibile: non c'è nulla che possa a priori essere considerato inconoscibile. Tuttavia, ciò non significa che gli uomini possano godere di una conoscenza adeguata innata. Tutto al contrario, essi sono per lo più schiavi di conoscenze inadeguate, sorte dall'azione delle più disparate cause esterne che li portano a immaginare un gran numero di cose senza conoscerle affatto. Per elevarsi a una conoscenza adeguata della realtà, l'uomo deve quindi contenere la prepotenza dell'immaginazione e cercare di guadagnare una visione adeguata di Dio stesso, cioè del fondamento ultimo di tutta la realtà, immanente ad essa come a tutte le sue manifestazioni.

L'uomo ha lo strumento della ragione per capire ma questo è uno strumento limitato. Infatti il fondamento del discorso razionale (almeno per come è definito nel secondo scolio della proposizione 40 della seconda parte dell'Etica), sono le nozioni comuni ossia degli elementi propri a molti oggetti, a partire dai quali è possibile inferire le regolarità e le leggi (anche in senso fisico-scientifico) cui sono sottoposti. Proprio per questo, tuttavia, la ragione non permette di conoscere l'essenza di nessuna cosa singola, colta nella sua specificità. La ragione è quindi sufficiente per fornirci alcune importantissime conoscenze adeguate, tra cui rientra la stessa conoscenza di Dio come sostanza eterna, infinita, unica e immanente a tutte le cose. Tuttavia, risulta cieca davanti alla natura singola e unica di ciascuna di queste cose.

Se la ragione è insufficiente però l'uomo ha un altro strumento che gli consente di cogliere la conoscenza in modo immediato. Questo strumento è l'intuizione. Con questa possiamo arrivare al culmine del processo conoscitivo, possiamo arrivare a Dio.

Per Spinoza esiste quindi un terzo genere di conoscenza, che nell'Etica viene chiamata "scienza intuitiva" e che dovrebbe consentire proprio di conoscere adeguatamente l'essenza delle cose. Lo statuto di questo genere è però molto controverso tra gli studiosi del pensiero di Spinoza e vi sono state molte discussioni sia per identificare quale ne sia esattamente l'oggetto, e se Spinoza effettivamente ne fornisca esempi o se ne serva nelle sue opere. Nelle prime formulazioni del suo pensiero (Trattato sull'emendazione dell'intelletto e Breve trattato) questo genere è considerato l'unico davvero adeguato e veramente capace di farci unire immediatamente a Dio e conoscere adeguatamente la realtà. Nell'Etica, tuttavia, la sua trattazione è concentrata soprattutto nella seconda metà della quinta parte e molto spazio viene invece dato alla ragione, la cui adeguatezza è pienamente rivalutata.

Materiale da integrare

Baruch Spinoza (Amsterdam, 24 novembre 1632 – L'Aia, 21 febbraio 1677) filosofo olandese il cui motto era "Deus sive Natura" - "Dio ossia la Natura".

Divinizzazione della natura o naturalizzazione di Dio?

Il romanticismo tra i quali in particolar modo Shelling hanno interpretato la filosofia di Spinoza come una divinizzazione della natura ma un'altra lettura considera che la vera intenzione di Spinoza espulso dalla sinagoga con l'accusa di ateismo, fosse invece quella di naturalizzare Dio.

Sue opere principali il "Tractatus theologico-politicus" e l'"Ethica ordine geometrico demonstrata" citati anche più brevemente come il "Tractatus" e l'"Ethica".

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