Albero della vita e albero della conoscenza

Da LogicaUnitaria.

DI NUOVO SULLA TEMATICA DELLA CONIUNCTIO

LA PARTICOLARE CONCEZIONE DELL'EVOLUZIONISMO DETTA "EVOLUZIONISMO PARALLELO" NEL NOUMENICO E NEL FENOMENICO

Albero della vita e albero della conoscenza: separarli ancora di più o unirli ancora di più?

This is the question.

In principio era il giardino dell'Eden

Il giardino dell'Eden è un luogo citato nella Bibbia e presente anche nella mitologia sumera.

Nel libro della Genesi è il luogo in cui Dio mise tutti gli esseri viventi, tra cui Adamo ed Eva, la prima coppia umana, dopo averli creati da un'altra parte. Esso si trovava ad oriente (di Israele) e dal giardino usciva un fiume che si divideva in quattro rami fluviali: il Tigri, l'Eufrate, il Pison che circondava la terra di Avila e il Gihon che circondava la terra di Etiopia. Eden è una parola sumera che significa "steppa, pianura", mentre in ebraico il paradiso (sia quello terrestre primigenio sia l'aldilà) viene indicato con la locuzione Gan 'Eden (גן עדן), traducibile con "giardino delle Delizie" (Genesi 2,8-14).


Secondo queste indicazioni l'Eden si collocherebbe nell'odierna regione della Mesopotamia meridionale, più precisamente nella pianura attraversata dal fiume Shatt al-'Arab, sepolto sotto decine di metri di sedimenti. Nello Shatt al-‘Arab oggi confluiscono due dei fiumi citati nella Genesi: il Tigri e l'Eufrate. Se poi si considera che il golfo Persico era completamente all'asciutto durante l'ultima glaciazione ed è stato allagato dalla trasgressione marina fra i 5000 o 6000 anni prima di Cristo, è possibile che l'Eden si trovi ora in fondo al mare. Questa teoria e l'identificazione degli altri due fiumi (Pison e Ghicon) è stata proposta dall'archeologo Juris Zarins.[1]

Un'altra ipotesi sulla localizzazione dell'Eden si trova nel saggio Omero nel Baltico di Felice Vinci, dove l'autore, nell'ambito della totale localizzazione geografica dei poemi omerici in Scandinavia, teorizza diversi collegamenti con le mitologie di molti altri popoli, tra cui quello ebraico; e una volta identificata l'Etiopia con la penisola di Nordkynn, anche in Norvegia: «Esaminiamo [...] uno dei fiumi che la bagnano, il Tana (che pertanto potrebbe corrispondere al Gihon biblico): esso nasce in una zona della Lapponia finlandese [...] da cui effettivamente si dipartono altri corsi d'acqua. Uno è l'Ivalo, che i Lapponi chiamano Avvil. L'assonanza con Avila [...] da sola potrebbe essere casuale, ma proprio questo territorio è ricco d'oro».[2] Il passo citato prosegue con l'identificazione di Tigri ed Eufrate con i loro corrispettivi scandinavi; il complesso di questi fiumi delinea, secondo Vinci, "una sorta di Mesopotamia finnica, straordinariamente assomigliante a quella asiatica".


L'albero è simbolo centrale della grande narrazione biblica

L'albero della vita era un albero che, secondo alcune tradizioni religiose, Dio pose nel Giardino dell'Eden, assieme all'albero della conoscenza del bene e del male.

I due alberi del giardino e le due genealogie

Secondo il racconto biblico tra tutti gli alberi piantati nel giardino ne erano due particolari: l'albero della conoscenza del bene e del male e l'albero della vita. Dio proibì all'uomo di mangiare i frutti del primo e la disobbedienza portò alla cacciata dal giardino dell'Eden, negando all'uomo anche i frutti del secondo, come in Genesi 3,22: Poi Dio YHWH disse: «Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre».

I due alberi sono a mio parere le due diverse genalogie, la genelaogia per parte di padre,la nealogia maschile e la genelaogie per paret di madre,la genealogia femminile.

Quando al filosofa femminista che e labora la filsofoia della differnza dice che non esiste un logos neutro ma che è un imroglia per meglio sottomettere la donna non dice sbagliato: il logos è maschile, solo maschile mentre la donna, l'albero della vita che quindi proprio come eros non discrne separando ma unisce non è logos ma è muta. Eì invece proprio garzie a tali pensatrici chge nasce un logos femminile ma il logos femminile che prima non c'era e solo adesso c'è è anch'sso logos ossia discerniemnto da un punto di vista femminiel cuioè pur essendo logos e logos femminile.

L'unico errore che fa la filosofa della differenza sessuale è proprio credere che un tale logos sia proprio altro dal logo masschile padronale e anzi il logos maschile padronale è padronale non perchè è logos ma perchè ancora non si è congiunto all'altro aspetto dell'unico logos e il suo essere logos di dominio è solo una conseguenza di uan atle separazione della consocenza dalal vita e non perchè il dominio è proprio la natura del logos coem pensano anceh molti filosofi contemporanei anche di genere maschile (Derrida ma in definitiva anche gli esponenti del pensiero debole che denunciano il pensiero forte come pensiero di dominio).


L'evento big bang della frammentazione del punto singolare proprio alla grande narrazione costruita dall'astrofisica e quella biblica della separazione dei due alberi

Nell'esegesi ebraica è insegnato che originariamente i due alberi erano uniti, in seguito Adamo ne separò le radici. Precedentemente al peccato originale Adamo si elevava carpendo continuamente i segreti e la modalità della sapienza suprema e supernaturale.

« Colui che "abbandonasse" la Torah... ...come se "abbandonasse" l'albero della Vita »

(Sefer haZohar 181)

Secondo molti commenti esegetici ebraici della Torah è stretta la connessione tra l'Albero della vita ed il melograno. Anche la stessa Torah è definita Albero della Vita. Pare, secondo un Midrash, che Adamo si sia reso anche colpevole per aver tagliato/rotto le radici dell'albero.

« Così il Signore Dio fece crescere dal suolo ogni albero desiderabile alla vista e buono come cibo e anche l'albero della vita nel mezzo del giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. » (Genesi 2,9)

« e il Signore Dio impose all'uomo questo comando: "Di ogni albero del giardino puoi mangiare a sazietà. Ma in quanto all'albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel giorno in cui ne mangerai "certamente" morirai" » (Genesi 2,16)

Il divieto di consumo riguarda solo l'albero della conoscenza del bene e del male. Probabilmente, prima del peccato (commesso col mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male), Adamo mangiava di tutti i frutti compreso quello dell'albero della vita[senza fonte].

Adamo ed Eva mangiarono del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male e andarono incontro alla punizione: anche la morte, come in seguito avvenne. Dio disse:

«  Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell'Albero della Vita, ne mangi e viva per sempre. » (Genesi 3,22)

Il peccato originale

Nelle tradizioni di discendenza biblica, l'albero della conoscenza del bene e del male (in ebraico: עץ הדעת טוב ורע‎?, etz ha-daʿat tov va-raʿ), o semplicemente l'albero della conoscenza, è l'albero dell'Eden, menzionato nella Genesi insieme all'albero della vita, da cui scaturì il peccato originale a seguito dell'infrazione del divieto, posto da Dio, ad Adamo ed Eva di mangiarne i frutti.

Alcune correnti religiose vedono in questo albero una vera e propria pianta legnosa; altri invece vedono in questo stesso albero un simbolo la cui interpretazione dipende dal significato che viene attribuito al concetto di peccato originale.

« Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. » (Genesi 2,9)

« E Dio impose all'uomo anche questo comando: «Di ogni albero del giardino puoi mangiare a sazietà. Ma in quanto all'albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel giorno in cui ne mangerai certamente dovrai morire». » (Genesi 2,16)

Secondo il libro della Genesi, l'albero della conoscenza del bene e del male era posto nel centro del giardino di Eden. Il divieto di consumo riguardava solo l'albero della conoscenza del bene e del male. Probabilmente, prima del peccato (consumatosi col mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male) Adamo mangiava di tutti i frutti compreso quello dell'albero della vita, come se fosse un antidoto o semplicemente per celebrare la vita o il diritto di vivere. La disubbidienza avvenne così:

« Disse il serpente alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?».

Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete».

Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».

Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. » (Genesi 3,1-7)

Adamo ed Eva mangiarono del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male e andarono incontro alla punizione: la morte. Per riacquistare il diritto di vivere potevano mangiare del frutto dell'albero della vita;

« ma Dio disse: «Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre». » (Genesi 3,22)

Dio fece l'uomo a sua immagine e somiglianza. E avendo colto del frutto dell'albero proibito l'uomo avrebbe potuto contendere con Dio stesso (secondo l'interpretazione del Serpente), ma viene prontamente cacciato, affinché non sia esonerato dalla punizione della morte: mangiare dell'albero della vita.

Interpretazioni concretistiche dell'albero

Ricorda Rashi:

« Per quale ragione la Scrittura non indica chiaramente il nome dell'albero? Perché Qadosh BarukhHu non desidera umiliare nessuna delle Sue creature; altrimenti gli uomini coprirebbero di vergogna quest'albero, dicendo: "Questo è l'albero a causa del quale il mondo è stato colpito!" Ciò è affermato nel Midrash Tanhuma »

(Genesi Rabbah XIX 7)

Secondo l'esegesi ebraica del Talmud e dei Midrashim vi sono differenti opinioni: secondo rabbi Meir è l'uva, secondo rabbi Nechemia è il fico, secondo rabbi Yehudah è il grano mentre altri commentatori affermano sia il cedro.

Nachmanide spiega che, mangiando del frutto proibito, Adamo e la donna «avrebbe voluto e desiderato una cosa o il suo contrario»[2]. "Delizia" riguarda gli "occhi", il "desiderio" invece l'intelligenza.

I testi ebraici della Torah spiegano che l'albero della conoscenza del bene e del male possedeva anche il tronco saporito e dello stesso gusto del frutto; anche il rabbino Arizal ricorda infatti che in principio Dio avrebbe concesso all'umanità che ogni albero possedesse questa qualità fino al rifiuto della Terra che ciò non volle per i malvagi che poi sarebbero esistiti in seguito. Così l'unico albero a mantenere questa peculiarità particolare fu quello dal frutto negato da Dio ad Adamo ed Eva.

Dio proibì al padre ed alla madre dell'umanità di mangiare il frutto, ma Adamo aggiunse una proibizione dicendo ad Eva di non toccarlo; il serpente approfittò dell'indecisione di Eva spingendola contro l'albero che quindi toccò cosicché, quando lei non ne vide le conseguenze prospettate, decise di mangiarne il frutto. I commenti esegetici ebraici insegnano che il serpente credette che, una volta che anche Adamo avesse trasgredito l'ordine divino mangiando il frutto e poi fosse morto, avrebbe potuto sposare Eva.

La Torah insegna che il serpente venne punito anche con la lebbra per aver commesso maldicenza verso Dio: in questo animale ne è segno il cambio della pelle.

Il mito dell'Eden presso la civiltà dei sumeri

Il paradiso dei Sumeri si chiamava Dilmun e può essere identificato nel golfo Persico (Bahrein). In questo luogo, dove non esistevano malattie e morte, il dio Enki usava accoppiarsi sessualmente con le dee sue figlie. Dopo aver mangiato i frutti degli alberi creati dalla dea Ninhursag viene da questa maledetto e condannato a molteplici mali. Una volta riappacificatasi, per far guarire il dio Enki la dea Ninhursag crea varie dee il cui nome corrisponde alla parte del corpo del dio. Fra le altre, in relazione alla costola, Ninhursag crea una dea dal nome Nin.ti che significa "dea che fa vivere" e "dea costola" (sumerico TI = vita e costola). Questo significato, traslato in ebraico, potrebbe aver dato origine alla figura di Eva.

In un altro mito sumero il contadino Shukallituda, non riuscendo a coltivare la sua terra troppo arida, chiese aiuto alla dea Inanna: questa gli consigliò di piantare degli alberi per fare ombra, facendo così nascere la prima oasi con una tecnica di coltivazione comune nei deserti intorno al golfo Persico. Il mito si conclude con una trasgressione sessuale in cui il contadino stupra la dea addormentata: come punizione per l'affronto Shukallituda è costretto ad abbandonare il suo giardino.

Infine nel mito di Gilgamesh l'eroe cerca l'ultimo uomo sopravvissuto al diluvio, Utnapishtim, il quale conosce la pianta dell'immortalità che cresceva in paradiso. Utnapishtim rivela a Gilgamesh che il paradiso è sprofondato nel mare, allora Gilgamesh recupera una fronda della pianta sul fondo del mare, ma durante il ritorno un serpente divora la fronda e ritorna giovane. È quindi probabile che i compilatori dei testi biblici abbiano adottato e modificato il racconto mitologico sumero. È già noto che lo stesso abbiano fatto i cinesi (ciò viene confermato dai caratteri di scrittura cinese) riguardo all'Eden e al diluvio.

Un identico mito di uno stato felice originario e poi perduto per sempre si trova anche presso altri popoli e civiltà

L'idea di uno stato felice perduto e non più ritornato è presente anche nella civiltà classica greca e romana. Lo attestano ad esempio lo scrittore greco Esiodo (Opere e Giorni, 109-119) e il poeta latino Publio Ovidio Nasone (Le metamorfosi, I, 89-112).

Lo studioso Arturo Graf espone ampiamente i risultati dei suoi studi sul mito del paradiso terrestre nella prima parte del suo saggio Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo. Egli scrive che "i libri sacri dell'India e il Mahābhārata celebrano l'aureo monte Meru da cui sgorgano quattro fiumi, che si spandono poi verso le quattro plaghe del cielo e sulle cui giogaie eccelse olezza e risplende l'incomparabile paradiso, detto Uttara-Kuru, dimora degli dei, prima patria degli uomini, sacra ai seguaci di Buddha non meno che agli antichi adoratori di Brahma. Gli Egizi, a cui forse appartenne in origine la immaginazione degli Orti delle Esperidi, serbavano lungo ricordo di una età felicissima, vissuta dagli uomini sotto la mite dominazione di Ra, l'antichissimo dio solare. Airyâna vaegiâh, che sorgeva sull'Hara-berezaiti degli iranici, fu un vero paradiso terrestre, innanzi che il fallo dei primi parenti e la malvagità di Angrô-Mainyus l'avessero trasformato in un buio e gelido deserto; e nell'Iran e nell'India, come in Egitto, durava il ricordo di una prima età felicissima. I cinesi coronarono il Kunlun di un paradiso, dove sono parecchi alberi meravigliosi e di onde sgorgano parecchi fiumi. Nelle tradizioni religiose degli Assiri e dei Caldei il mito appare con sembianze che non si possono non riconoscere come affatto simili a quelle del mito biblico. Greci e Latini favoleggiavano dell'età dell'oro, dei regni felici di Crono e Saturno e di più terre beate.[4] I quattro fiumi che scaturivano dall'Eden biblico (Genesi 2, 10-17) lasciano congetturare che esso fosse un monte, così come lo erano il Meru indiano, l'Alburz iranico, l'Asgard norrena, il Kâf arabico nonché l'Eden citato dal profeta Ezechiele nel Vecchio Testamento (28, 12-19).[5]

Inoltre Graf ricorda i miti delle Isole Fortunate nel mondo greco, rappresentazioni del paradiso terrestre. Esse sono l'isola dei Feaci e di Ogigia in Omero (Odissea), l'isola di Pancaia descritta da Diodoro Siculo, l'Atlantide di Platone, la Merope di Teopompo. Gli Arabi credevano nell'isola beata di Vacvac, oltre il monte Kâf, ricordata nei viaggi di Sindbad ne Le mille e una notte. Di un'isola "dalle poma d'oro" narravano i Celti.[6] Questa fu la credenza dei padri della Chiesa e dei dottori della Chiesa, ripresa da Dante Alighieri, quando a Matelda nel paradiso terrestre faceva dire: «Quelli che anticamente poetaro/l'età dell'oro e suo stato felice/forse in Parnaso esto loco sognaro» (Purgatorio, XXVIII, vv. 139-141). Alighieri pone l'Eden nell'opposto emisfero terrestre, proprio secondo le indicazioni dei padri e dottori della Chiesa.

D'altra parte le indagini degli studiosi hanno portato a individuare una lontana convergenza dei miti paradisiaci dei popoli della doppia famiglia ario-semitica. Graf rileva altresì che "nel mito paradisiaco ario-semitico [e in altri affini] si trovano tracce di un antichissimo culto della natura. L'albero della vita è albero che porge il nutrimento; l'albero della scienza è l'albero che dà responsi: entrambi appaiono in numerose mitologie, fatti spesso compagni dell'albero generatore da cui procedono gli uomini".

Il mito del giardino dell'Eden in Dante Alighieri

Nella Divina Commedia di Dante Alighieri il paradiso terrestre è posto sulla sommità del monte del purgatorio (situato agli antipodi del mondo allora conosciuto) e rappresenta l'ultima tappa del percorso di purificazione che compiono le anime per poter accedere al paradiso. È rappresentato come una foresta lussureggiante percorsa dal fiume Letè che toglie la memoria del male commesso e il fiume Eunoè che rinnova la memoria del bene compiuto. Il giardino dell'Eden compare in tutti i canti dal ventottesimo al trentatreesimo del Purgatorio. Il poeta fa qui il suo primo incontro con Beatrice e conosce Matelda, una donna che funge da allegoria dello stato d'innocenza dell'uomo prima del peccato originale. Inoltre assiste a una processione che rappresenta la storia dell'uomo e del suo rapporto con la fede, dal peccato originale al tempo di Alighieri.

Il frutto proibito: la mela

Nella cultura dell'Europa occidentale, soprattutto a partire dal Medioevo, l'albero della conoscenza del bene e del male viene considerato un melo. Tuttavia questa identificazione nasce probabilmente da una lettura allegorica del testo biblico: in latino la stessa parola, malum, può riferirsi sia al frutto del melo, sia al "male", e per questo motivo i commentatori avrebbero favorito l'identificazione, passata poi anche nelle arti figurative, tra il simbolico frutto dell'albero e la mela.[4]

In realtà la mela, in alcune culture anteriori al cristianesimo, era l'attributo di Venere, la dea dell'amore (nella sua accezione erotica). È possibile che l'iconografia di due giovani che si scambiano una mela (in cui, inizialmente, era abbastanza indifferente chi si pensava stesse dando e chi ricevendo il frutto) sia poi passata in ambito cristiano, dando origine alla identificazione tra il frutto proibito e la mela stessa.[5]

Nella tradizione ebraica, invece, non si riscontra l'identificazione del frutto dell'albero con la mela. A proposito del valore simbolico dei colori rosso, bianco e verde (collegati alle sefirot di Ghevurah, Chessed e Tiferet), si discute di un "campo delle mele sante", appunto con riferimento ai tre colori citati ed alla benedizione per la rugiada, presente anche nella preghiera ebraica dell'Amidah.

La mela di Isaac Newton

Sarà forse solo leggenda ma comunque significativa che il misogino e scienziato, forse il più grande prima di Einstein, racconta che Newton mentre rioosava sotto un albero e alal frescura della sua omnbra gli cadde in testa il frutto di quell'albero che guardacaso era proprio una mela.

In quell'istante lo scienziato ebbe un risvglio e elaborò le leggi della forza gravitazionale che furono valide fino al suo aggiornamento da parte di Albert Einstein che studiando non solo il macrocosmo ma anche il microcosmo passè da uan concezione di tale forza universale bassata sulle forze di attrazioen tra amasse a una nuova concezione degli stessi effetti che la massa produce sullo spazio-tempo che si scoprì che infatti le masse curvano lo spazio-tempo per cui creano come un imbuto, una sorta di trappola per altre masse.

Questa nuova concezione è molto utile non solo agli astrofisici ma anche agli psichiatri o comu que a tutti coloro ceh si occupano della salute mentale e più ingenerale della psicologia.

Con la specei umana infatti nasce una nuova sfera della vita che chiamiamo noosfera.

A livello della noosfera la realtà di questa misteriosa forza gravitazionale funziona diversamente dalla biosfera.

I pensieri cioè in quanto pensati sono anch'essi massa anceh se non massa material bensì massa immateriale. Resta il fatto che i pensati che popolano la noosfera sono anch'essi massa e quindi esercitano una forza gravitazionale o meglio creano trappole, luoghi di catturazione.

Ecco spiegato perchè molti sentono le voci, o sono ossessionati da pensieri non voluti, o si sentono come posseduti da altre entità, alieni, il diavolo, satana o anche dagli angeli o santi.

Forse, ipotizza la biologa e psicoanalista Silvia Montefoschi, la cosiddetta energia oscura che agli stessi astrofisici risaulta ancora un mistero, è invece proprio docuta alal massa enorme dei pensati che sfugge agli strumenti di rilevazione degli scienziati proprio perchè massa immateriale.

Si tratta cioè della realtà noumenica, doce si svolge uan evoluzioen parallelal alla realtà fenomenica ma ceh pur essendo un'aunica realtà noi separandole le massifichiamo per cui abbaimo coem due tipologie di alberi genealogiche di padri e madri materiali (parentela materiale) e padri e madri spirituali (parentela spirituale).

Interpretazioni già più simboliche dell'albero

I maestri della tradizione ebraica insegnano come la trasgressione di Adamo ed Eva consiste nel tentativo e nella volontà di trarre la conoscenza, elemento spirituale, dal frutto, elemento materiale. Inoltre il primo peccato commesso da Adamo ed Eva fu l'origine e la radice di tutti i peccati esistenti.

Un midrash insegna che originariamente l'albero della conoscenza del bene e del male era legato a quello della vita, posti entrambi nel Giardino dell'Eden: con il peccato Adamo ne ruppe il legame. Un altro insegnamento afferma che Adamo, fino a quel momento sapiente di una saggezza celeste, volle vedere cosa si trovava nell'altro lato intendendo con ciò il mondo dell'impurità: la conoscenza carpita così da Adamo ed Eva non era infatti la conoscenza della Torah ma una conoscenza connaturata al peccato.

Eva diede da bere il succo del succitato frutto anche agli animali infatti da quel momento in poi valse la morte anche per loro.

L'ebraismo, in considerazione dell'origine divina della sapienza, della conoscenza e dell'intelligenza, non manca nel valutare Giobbe esempio di rettitudine ed integrità: egli rivolge al Signore la domanda Dove si trova la sapienza? (28,12)

La croce è la rappresentazione che l'albero della vita acquista nel cristianesimo

L'albero della vita appare, associato all'idea del Paradiso nell'Apocalisse:

« Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò a mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio. » (Apocalisse 2,7)

E ancora nella descrizione della 'nuova Gerusalemme', simbolo del Paradiso:

« E in mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trovava l'albero della vita, che fa dodici frutti e che porta il suo frutto ogni mese; e le foglie dell'albero sono per la guarigione delle nazioni. » (Apocalisse 22,2)

« e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in questo libro. » (Apocalisse 22,19)

Nella tradizione cristiana l'Albero della vita rappresenta simbolicamente la Croce di Cristo; ancora oggi nella liturgia dell'Esaltazione della Santa Croce, nella prefazio si dice:

« Nell'albero della Croce tu hai stabilito la salvezza dell'uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita,

e chi dell'albero traeva vittoria, dall'albero venisse sconfitto, per Cristo nostro Signore. »

Luigi Maria Grignion de Montfort nel Il segreto di Maria rappresenta la devozione religiosa come 'il vero Albero della Vita', da coltivare nel cuore per ottenere il frutto Gesù.

L'albero della vita nella Cabala

L’Albero della vita (Etz haHa'yim עץ החיים in ebraico) rappresenta simbolicamente, nella Cabala, le leggi dell'Universo (certi autori lo avvicinano all'albero della vita menzionato dalla Genesi in 2,9). La sua descrizione è considerata come quella della cosmogonia della mistica cabalistica.

Un sintetico exursus storico sulla rappresentazione dell'albero della vita nella cabala

Certi commentatori ritengono che l'Albero della Vita sia un adattamento ebraico di simboli già presenti presso i popoli antichi: in effetti, ritroviamo in Egitto il sicomoro sacro come pure il Djed, che giocano un ruolo importante nell'esoterismo egizio. Altri Alberi della Vita esistevano ad esempio nella tradizione mesopotamica di Elam con potenti risonanze cosmogoniche. Sotto nomi diversi una stessa percezione si è installata in differenti culture: l'Albero della Vita si chiama l'Aśvattha in India, l'Albero Bo o la ficus religiosa dei Buddhisti, il frassino Yggdrasil dei popoli nordici, l'Asherah originale degli Assiri, il Java-Aleim (Jahva Alhim declinato in ebraico nel seguito) della tradizione cabalistica caldea.

L'albero della vita nella cosmologia ebraica

Resta però il fatto che l'Albero della Vita cabalistico deriva sotto tutti gli aspetti dalla cosmologia ebraica e che i processi filologici, semantici e metafisici della sua elaborazione non dipendono affatto dalle tradizioni predette. L'essenziale della dottrina cabalistica afferente all'Albero Sefirotico è in effetti da ricercare nella letteratura midrashica, specialmente quella risalente alla fine del periodo del Secondo Tempio e riguardo alla quale lo Zohar propone una sintesi delle più complete.

Evoluzione della rappresentazione dell'albero della vita dal III secolo d.C. al XIII secolo presso le diverse scuole rabbiniche

Conviene precisare che l'Albero sefirotico così come lo rappresenta la Cabala ebraica è apparso solamente nel III secolo della nostra era in seno alle scuole rabbiniche. Ed è più globalmente nel XIII secolo che si espande più in particolare in seno alle scuole del sud della Francia e della Spagna. Se le forme differiscono da una cultura a un'altra, il fondo, l'essenza resta la stessa e conviene, per essere rigorosi, osservare le appropriazioni esclusive di certi popoli nei confronti di principi spirituali che sono all'origine liberi e universali.

Macrocosmo e microcosmo

Questo Albero della Vita può essere visto come la rappresentazione del processo di creazione che mette all'opera, tanto nel Macrocosmo che è l'Universo che nel Microcosmo che è l'Essere Umano, energie o potenze creatrici che emanano dal Creatore. La mistica della Cabala utilizza l'Albero della Vita per tentare di distinguere l'Essenza Infinita (En Sof) di un Dio Unico e Creatore, nella maniera in cui egli ha creato a partire dal vuoto (ex nihilo) questo mondo finito (Sof) che è il nostro.

La struttura dell'albero della vita

Lo schema dell'Albero della Vita è formato da:

4 mondi,

10 centri energetici (o numerazioni chiamate Sephiroth),

3 veli di esistenza negativa non manifestata,

3 pilastri e 22 sentieri

il cui insieme forma le 32 vie della Saggezza

Queste 32 vie della Saggezza a sua volta corrispondono

- alle dieci Sephiroth

- e ai ventidue sentieri


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