Il concetto di intenzionalità

Da LogicaUnitaria.

"MAI INTENZIONARE IL PROPRIO DIRE."

Così scrivevo in un mio post del 2010.

Il tempo passa ma è ancora valido quanto detto allora.

A chi parliamo allora quando parliamo?

All'interlocutore concreto che ci sta davanti e ci ascolta?

Ma se proprio adesso abbiamo detto che non si deve intenzionare il proprio dire!

E' possibile non intenzionare il proprio dire?

E' possibile parlare ad un interlocutore astratto?

Ma poi chi lo ha detto che non intenzionare significhi rivolgersi a d un interlocutore astratto e quindi non concreto?

Silvia Montefoschi diceva che i mutanti devono dire senza curarsi che gli altri capiscano: "Noi diciamo quanto in noi si dice, poi Chi coje coje" usava dire in dialetto romanesco.

Ma se la psicoanalista Silvia Montefoschi riteneva che non si doveva intenzionare il nostro dire, quando parlava con me, con chi parlava in verità?

Domande per comprendere meglio ciò che in noi si dice e vuole dirsi.

Perchè ci interessa così tanto questa affermazione della psicoanalista Silvia Montefoschi? Perchè gli diamo così tanta importanza?

La psicoanalista sempre su questa questione diceva anche:

"Non c'è più niente da spiegare: l'Essere in noi si dice."

Affermazione che sembra quasi ricalcare quanto il filosofo e ontologo fenomenologo-esistenzialista Martin Heidegger sosteneva:

"Non è l'uomo che dice dell'essere ma è l'essere stesso che in prima persona dice di sè nella parola dell'uomo." (Martin Heidegger)

Un nuovo capovolgimento come quello di Marx con Hegel il quale pretendeva di avere rimesso con i piedi per terra la dialettica hegeliana che invece stava all'incontrario?

Noi vediamo in questo capovolgimento, quello di Heidegger e Montefoschi un superamento dell'antroporiferimento e quindi un portare a compimento la rivoluzione copernicana: non siamo noi a pensare ma è il pensiero che pensa in noi e se la direzione di una psicoanalisi è proprio quella di superare ogni sindrome narcisistica ebbene questo capovolgimento ci rende umili e modesti e contemporaneamente paradossale a dirsi ci rende degli Dei poichè ci fa consapevoli che il pensiero che ci attraversa non è il "nostro" pensiero ma è il pensiero di Dio, l'essere che parla.

Se così stanno le cose, il nostro scrivere il pensiero che ci attraversa è compilare dei testi sacri, nuovi testi sacri.

La Bibbia e i Vangeli dunque non hanno esaurito in sé la rivelazione come sostiene la dogmatica cristiano-cattolica ma Dio ha continuato a scrivere e dunque a manifestare se stesso anche dopo testi del vecchio e nuovo testamento.

Silvia Montefoschi riteneva che quel processo di individuazione scoperto da Jung trovava infine in un "processo di spersonalizzazione" il suo sprint finale e sempre di questo "processo di spersonalizzazione" diceva che "Il massimo di spersonalizzazione coincide con il massimo di personalizzazione". Può sembrare un paradosso ma noi che cogliamo ne abbiamo colto intuitivamente il senso.


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