Intersoggettività e transfert - 2006

Da LogicaUnitaria.

L'argomento di questa pagina è una intervista del 2006 a Silvia Montefoschi. Potete leggere l'intervista integrale e originale on-line sulla Rivista di psicologia evolutiva intersoggettiva

Le citazioni dell'intervista che qui troverete sono quelle parti che più di tutte io ritengo fondamentali:


La problematica dell'originaria dualità dell'uno

Silvia Montefoschi

[...] l'intersoggettività in me si è arrivata a svelare come l'originaria dualità dell'uno, che non è più un problema di relazionalità soltanto umana: l'uomo che deve passare da un tipo di relazione a un altro tipo di relazione.


Commentario

Cosa si dice in questa affermazione?

Ci mette di fronte ad un possibile equivoco, uno tra i tanti equivoci purtroppo a cui si presta la nuova visione dell'essere, e questo equivoco consiste nel credere che la questione dell'intersoggettività sia una questione che riguarda l'umanità mentre invece è una problematica dell'intera storia dell'universo in quanto l'intersoggettività altro non è che "l'originaria dualità dell'uno".

Una tale affermazione inoltre è già un superamento dell'antroporiferimento che sappiamo essere la radice di ogni egoriferimento ed è proprio il superamento dell'egoriferimento che si realizza portando a compimento una critica radicale proprio dell'antroporiferimento che è il vero obiettivo di una psicoanalisi che voglia giungere veramente al suo termine.

Perchè infatti si fa una psicoanalisi, ci si impegna, in un tale percorso?

Per l'unico motivo che a noi un modus vivendi orientato in maniera antroporiferita ci è diventato come un vestito stretto e già questo vissuto anche se inconsapevole è già l'inizio di una critica radicale dell'antroporiferimento.

Molti al posto di antroporiferimento parlano di egoriferimento ma l'egoriferimento altro non è che una conseguenza di una vita che non riesce a vedere oltre l'antropos, ossia di una visione chiusa, di un universo chiuso che impedisce alla libido ossia all'energia universale di procedere oltre.

Ma come è possibile procedere oltre se prima non si vede oltre?!

Fin dall'inizio dei tempi l'essere voleva immediatamente ripristinare l'originaria dualità dell'uno ma non è stato mai possibile poichè occorreva una coscienza enorme, quella coscienza o se vogliamo quella teoria che soltanto la psicoanalisi è riuscita infine a conquistare andando pertanto oltre la stessa psicoanalisi al termine della centenaria storia della psicoanalisi. Solo oggi si è fatto possibile ripristinare l'originaria dualità dell'uno perchè oggi e solo oggi questa coscienza enorme, questa teoria c'è finalmente ed è proprio per questo che diciamo che questi sono tempi apocalittici e anzi "dicevamo" poichè Silvia Montefoschi proprio al termine della sua vita ci ha corretto in quanto lei riteneva che questi non sono nemmeno tempi apocalittici ma lo scenario storico attuale di fine della storia è già uno scenario post-apocalittico in quanto l'apocalisse ossia la rivelazione è stata la nascita del prototipo dell'archetipo dell'ultima coniunctio.

Giunti infatti alla comparsa di una particella nell'universo che funzionava da quarto di un sistema conoscitivo individuale ossia l'elettrone dei tre quark del protone l'universo ossia l'essere aveva già messo all'ordine del giorno la produzione di un super-elettrone ossia di un quinto sapendo che con la produzione del super-elettrone quella originaria dualità dell'uno finalmente sarebbe potuta divenire realtà concreta in un oggi e non solo in termini prospettici.

Solo un riflettente duale può riuscire a non riflettersi in un riflesso di sè ma in altro riflettente, cosa impossibile per un singolo riflettente, da qui anche la differenza terminologica che utilizziamo per non confondere i due tipi di soggettività: soggetto conoscente e quindi riflessivo che proietta sè fuori di sè tramite la dinamica del transfert o proiezione in un conosciuto che è poi il suo riflesso e soggetto super-riflessivo che si riconosce solo in altro riflettente distinto da sè ma che costituisce con l'altro riflettente una unità duale inscindibile.

Non è stato possibile passare dall'elettrone al super-elettrone immediatamente ma è stato necessario a partire da quel punto di arrivo parziale procedere lungo un percorso che dopo la molecola ha prodotto la nuova molecola del DNA e poi ancora tutti i viventi a partire dai virus e batteri ossia tutte le forme viventi studiate dalla microbiologia e poi tutte quelle altre forme viventi studiate fino dalla botanica e infine quelle altre forme ancora studiate dalla zoologia fino all'uomo che è la prima forma vivente che non soltanto pensa ma sa di pensare. E' nel 1895 che nasce grazie a Sigmund Freud una nuova disciplina la psicoanalisi che inscriverà nel DNA della specie umana una nuova informazione che determinerà una nuova mutazione in questa ultima specie animale-umana che produrrà gli ultimi mutanti, ossia una nuova e ultima generazione di umani che non appartengono più alla vecchia specie umana ma alla nuova e vera umanità destinata volente o nolente a portare a compimento una rivoluzione radicale del reale che si può sintetizzare dicendo che dirà la parola "fine" alla vecchia dinamica proiettiva del transfert che è stata l'unica psico-dinamica della vita fino a questo oggi post-apocalittico.

Ma che cosa è che si proiettava? Si proiettava il riflettente in un riflesso.

La critica radicale del modello relazionale interdipendente

Silvia Montefoschi

"[...] chi è dentro l'interdipendenza non può vederla."


Commentario

Sembrerebbe che non ci sia alcuna via d'uscita per la vecchia umanità perchè è come se si dicesse che solo chi è già guarito può guarire mentre di solito si è pensati a pensare il contrario e cioè che solo chi è malato può guarire e non chi già guarito che non ha bisogno di guarire visto che lo è già.

Qui ovviamente non si tratta di malattia/guarigione anche se i vetero-psicoanalisi incapaci di collocare la psicoanalisi stessa all'interno della storia dell'universo, parlino di malattia e guarigione, in verità si tratta solo di livelli di evoluzione.

La verità è quindi che solo chi è già, chi è già per nascita, oltre l'interdipendenza può infine uscirne definitivamente dall'interdipendenza.

Avevamo detto nel commento precedente che già il percepire l'antroporiferimento, l'egoriferimento e l'interdipendenza che poi sono in qualche modo sinonimi della dinamica transferale o proiettiva che dir si voglia, come una sorta di vestito troppo stretto per noi, già solo questo sentire sia pure ancora non in maniera pienamente consapevole, è già una prima critica del modello relazionale interdipendente, già questo sentire è un vedere l'interdipendneza ma anche con questo sentire che è anche un vedere si nasce è cioè una informazione racchiusa nel nostro nuovo codice genetico ceh ci fa sentire così, che ci fa vedere così spingendoci a nostra insaputa a realizzare quella originaria intersoggettività duale divenendo però a questo punto in quanto portatori della coscienza enorme, percolosi per il vecchio sistema conosciuto nato come compromesso fragile ma comunque stabilizzatosi infine tra le forze rivoluzionarie e le forze consevatrici che inevitabilmente dovranno difenderesi dando avvio ad una controrivoluzione.

Il fatto è che questa non è una rivoluzione ma è l'ultima rivoluzione e pertanto non potrà trovare alcun compromesso come nei precedenti momenti rivoluzionari della storia dell'universo ma terminerà solo con la scomparsa di tutte le forme finite dell'essere, i pensati che l'unico pensante ha pensato e quindi prodotto ("il pensiero non rappresenta la realtà ma la crea") lungo la sua storia evolutiva come il sogno dell'evoluzione che noi abbiamo chiamato "realtà" ma che è soltanto la manifestazione fenomenica di quanto accadeva al livello del noumenico. Quella che noi abbiamo sempre chiamato "realtà" anche "realtà concreta" pertanto altro non era che un secondo sogno, un sogno da svegli dopo il sogno notturno.


Dalla filosofia alla psicoanalisi ultima filosofia

Silvia Montefoschi

"[...] la psicoanalisi non è altro che il punto di arrivo di tutto il pensiero filosofico. La psicoanalisi nasce all'inizio del ‘900, nel momento in cui il pensiero comincia a riflettere sul suo stesso modo di pensarsi, e là dove scopre la riflessione nella relazione.

[..]

[è] lì [nella psicoanalisi] che il pensiero comincia per la prima volta a veder se stesso nella modalità della relazione. Incomincia nella relazione psicoanalitica, che si pone come prototipo di ogni modalità relazionale. Non è, infatti, una relazione a parte, a latere, specifica, specialistica, un artefatto, è il prototipo di ogni relazione umana."


L'intersoggettività deve necessariamente fare i conti con il modello relazionale interdipendente

Silvia Montefoschi

"Io da subito ho capito che l'intersoggettività doveva fare i conti con l'interdipendenza. Tant'è che anche ne “L'uno e l'altro” è scritto che il primo modo dell'altro di approcciarsi a te è quello di porsi come oggetto della tua osservazione, della tua tensione, del tuo amore, della tua interpretazione. Da qui tu devi partire per portarlo ad una posizione di intersoggettività. Questo avviene anche frustrando, non soddisfacendo, l'aspettativa dell'altro. Frustrando il tuo stesso rispondere all'aspettativa dell'altro. Se vogliamo ancora usare il termine di frustrazione, questo va usato nei confronti dell'analista stesso.Tuttavia il primo modo di darsi della relazione, come modo relazionalmente umano, è quello dell'interdipendenza. Interdipendenza tra il soggetto e l'oggetto, tra chi dà e chi riceve. Per cui, la tendenza è sempre quella di soddisfare quella che si ritiene essere l'aspettativa dell'altro. Quando qualcuno va dal medico sa che deve descrivere se stesso come oggetto, porsi come oggetto. Così, quando si va dall'analista, si fa la stessa cosa, ci si pone come oggetto, pensando solo così di mantenere in vita la relazione, soddisfacendo l'aspettativa dell'analista che si pone come soggetto. Solo progressivamente, come è detto nel libro, c'è un momento critico: sospendere la risposta alla richiesta. È un momento drammatico, un momento d'angoscia. In quel momento sembra di sospendere addirittura il flusso relazionale, finché l'altro si accorge che tu analista resti nella relazione, pur non soddisfacendo più quell'aspettativa."


La persona duale

Silvia Montefoschi

"[...] se tu leggi il libro di Jung sulla traslazione [Silvia Montefoschi si riferisce qui a "Psicologia del transfert" del 1944], lui lo vede solo come reciprocità di un investimento. Nel senso che l'uno demanda all'altro l'animus suo, che l'altro demanda l'anima, finché ciascuno si recupera l'animus suo e se ne va a casa con l’ermafrodito suo [si ride] anziché cogliere che l'altro deve incarnare veramente il tuo femminile interiore."


La concezione della dinamica del transfert in Sigmund Freud

Silvia Montefoschi

"[...] il concetto di transfert colto da Freud, non fa in realtà che considerare la dinamica dell'interdipendenza, solo che lui la riferisce al rapporto figlio-genitore, ma in realtà è l'unica modalità relazionale dell'umanità. [...] Questo è l'assolutamente nuovo che a me si è svelato, che quella modalità relazionale che viene letta in chiave di transfert – cioè di trasferimento di affettività da una figura, che era quella parentale, sull'analista - in realtà non va letta così. Va letta che in realtà è l'unica modalità relazionale che si dà nell'umanità. E nel libro “L'uno e l'altro” ne do anche la spiegazione. [Silvia Montefoschi qui si riferisce al suo libro pubblicato nel 1977 dal titolo "L'uno e l'altro - Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico"]

Il modello relazionale intersoggettivo è sempre sotteso al modello relazionale interdipendente

Silvia Montefoschi

[Il modello relazionale interdipendente] si ripete fin dall'infanzia, perché è l'unico modo di esserci in relazione. L'unico modo per avere la propria identità è quello di essere riconosciuto dall'altro, di essere amato dall'altro. Quindi è necessario soddisfare l'aspettativa dell'altro. Devi essere per l'altro, come l'altro ti vuole. Infatti, la prima modalità per soddisfare l'aspettativa dell'altro, è quella di identificarsi con l'immagine che l'altro ha di te, e di non tradirla.

Anche Silvia Montefoschi ha avuto uno psicoanalista: Ernst Bernhard

Silvia Montefoschi

"Si lavorava già sulla dimensione dell'inconscio e sulla progettualità dell'inconscio. Non è stata mai esaminata minimamente una problematica di storia personale."

In principio era l'intersoggettività

Silvia Montefoschi

"[...] l'intersoggettività è prima ancora della soggettività. Questo l'ho elaborato di più negli ultimi libri. Anche nell'interdipendenza si dà un gioco delle parti. L'unico possibile gioco delle parti che si dà per mantenere in atto la relazione, ma non è che uno non si riconosce come soggetto. Il guaio è che per sentirsi soggetto bisogna riconoscersi tali al cospetto di un altro soggetto. Se io fossi solo, uno, non potrei sapermi come soggetto. Il soggetto singolo, non sa di sé. O pone sé fuori di sé, e si vede nell'immagine di sé quale oggetto della sua visione, o si riconosce in un altro soggetto. Quando il bambino nasce, si riconosce come esserci del soggetto -che è la Presenza- al cospetto di un'altra Presenza che lo riconosce tale. Tant'è che io descrivo ne “L'uno e l'altro” come l'interdipendenza sia l'unico canale per giungere all'intersoggettività. E l'intersoggettività non si dà, data l'istituzionalizzazione dei ruoli, se non nell'interdipendenza. Il fatto è che tu sei costretto a mantenere l'altro nella relazione per esserci come soggetto, quale Presenza al cospetto dell'altra Presenza, come il "ci sono" del soggetto; ma per mantenere l'altro nella relazione devo pormi come oggetto, per soddisfare questa sua aspettativa, dovuta viceversa a quest'altra dimensione che è quella del gioco dei ruoli. Io ho bisogno di te come soggetto, ma se la tua aspettativa è quella che io sia invece un oggetto dipendente da te, io mi faccio dipendente da te. Come il bambino, che fa a finta di non essere capace ad allacciarsi le scarpe per non frustrare la madre, per non destituirla dal suo ruolo che a lui è necessario, perché la madre è anche il soggetto nel quale lui si riconosce come soggetto."

[...]

"E' un gioco dei ruoli, a volte uno fa l'oggetto e l'altro il soggetto, o anche, contemporaneamente, si stabilisce che su un certo piano dell'esistenza uno fa il soggetto e l'altro fa l'oggetto, e su un altro piano si inverte. Prendiamo ad esempio la coppia coniugale, la relazione più istituzionalizzata che esiste. La donna, per quanto riguarda il rapporto con il mondo sociale e della spiritualità, demanda all'uomo il potere di soggetto. Invece, per quanto riguarda la vita biologica, la vita della sopravvivenza -in poche parole il quotidiano casalingo- è lei il soggetto e lui l'oggetto. Lei sola sa dov'è lo zucchero. Lui deve dipendere da lei per sapere dov'è lo zucchero. Mentre è lui che dice a lei cosa deve votare.Forse adesso non più, o comunque, pur permanendo questi ruoli, si assottigliano queste differenze."

L'amore

"[...] nell'innamoramento è l'amore che ama l'amore, e l'amore è il desiderio dei due nel tornare ad unirsi. Siccome gli umani sanno di essere soggetti pensanti e non corpi soltanto, il desiderio è quello di unire il proprio soggetto pensante all'altro soggetto pensante. Tant'è che nell'innamoramento ciascuno dice all'altro il proprio infinito, ciascuno racconta all'altro il proprio universo. Dopo di che, siccome si dà per ovvio che i due debbano costituire la coppia istituzionalizzata coniugale -che sia o non sia legittimata questo non ha importanza, c’è sempre di mezzo l'unione a scopo procreativo o di appagamento- allora in quel momento ricadono nei ruoli e cessa il discorso. Cessa il discorso, anche perché nel momento in cui si stabilisce la coppia istituzionalizzata, la coppia fissa -tu sei l'uomo mio, io sono la donna tua- succede che ognuno si pone per l'altro come l'intero universo. E impedisce all'altro di allargare la sua stessa visione del mondo.Uno diventa geloso dell'altro, anche del libro che legge, capisci? Proprio perché ognuno si costituisce come l'intero universo, come esaustivo per l'altro, come l'unico oggetto di valore per l'altro. E' la coppia fissa, che è l'istituzionalizzazione che con l'amore non ha niente a che fare, perché è legata all'organizzazione sociale. Tant'è che negli animali non esiste neanche la coppia fissa.L'amore c'è quando c'è, nel momento in cui c'è. La relazione d'amore c'è nel momento in cui c'è, se non c'è, non c'è. Anche se i due, nel momento in cui si rincontrano ravvivano il discorso. I due si mettono insieme in questa struttura istituzionalizzata, chiusi nel piano della stessa casa, ognuno per i fatti suoi, ognuno con i problemi suoi, ma devono continuare a rimanere nel ruolo dell'uomo e della donna della coppia. Quando in quel momento magari l'amore non c'è, non corre, non fluisce."

[...]

"Il ruolo di moglie e marito sono ruoli. L'amore non implica necessariamente essere moglie e marito. Può portare all'unione di due -che sia sul piano fisico, che sia sul piano spirituale- nel momento in cui si incontrano, ma non ad istituzionalizzare delle posizioni fisse: quelli sono ruoli."

[...]

"L'amore non ha ruoli. L'amore è l'amore."

"[...] è difficile amarsi senza ... Mette i freni all'amore, imbriglia l'amore, perché l'amore è una potenza ... enorme! E quello è un modo di imbrigliarlo. Infatti, lungo il mio percorso di lavoro psicoanalitico con gli analizzandi, arrivava il momento in cui l'altro diceva: si, io sento quest'amore, ma tu non sei mia moglie, non sei la mia amante, non sei mia madre, non sei mia figlia, non sei mia sorella ... Embè? E perché, l'amore deve avere queste caratteristiche? Perché è un modo di imbrigliarlo, di difendersi da questa potenza dell'amore."

"[...] reggere la tensione dell'amore [sospira] è reggere un'alta tensione. L'amore è uno stato di erotizzazione che non si scarica mai."

Rapporti di tipo psicoanalitico e rapporti normali

"E' difficile, ma bisogna metterlo in atto. E se no a che serve il lavoro psicoanalitico? Per questo, sin dal primo libro, io dico che è il prototipo del vero rapporto umano."


Avere i piedi per terra e coltivare sicurezze

"[..] c'è ancora questa visione di questa falsa sicurezza che viene dalla struttura del sistema, che in realtà può saltare da un momento all'altro. Che sicurezza è? La vera sicurezza è mettere i piedi per terra, ma i piedi per terra tu li metti quando li poni sul fondamento dell'Essere, non sul conto in banca. Il conto in banca ti salta via da un momento all'altro. Vedi il petrolio, che adesso ... [ride di gusto] non dico lo Tsunami, ma anche il petrolio ti può far saltare il conto in banca e levare la terra sotto i piedi. Purtroppo, soprattutto nel novecento, si è instaurata sempre più questa cultura di tipo materialistico, per cui i punti di riferimento per la tua sopravvivenza sono quelli del sistema economico."

Di nuovo sull'interdipendenza

"L'interdipendenza è il rapporto che si stabilisce nel soddisfare reciprocamente le mutue aspettative, in cui c'è sempre chi si pone come soggetto conoscente e chi come oggetto di conoscenza dell'altro. Questo poi si snoda in tutte le sfumature. Chi dà e chi riceve sul piano della conoscenza, chi dà e chi riceve sul piano dei bisogni affettivi, o sul piano dei bisogni materiali."

Lo psicoanalista

"Mai che io abbia voluto curare l'altro, che abbia voluto il benessere dell'altro. Io dico anche che si deve arrivare a distaccarsi dal desiderio che l'altro comprenda o non comprenda. L'atteggiamento che io ritengo giusto del cosiddetto analista è quello di dar voce alla voce, farsi testimone di una verità che lui vede, poi l'altro ne fa quello che vuole."

L'intersoggettività è un modo di relazionarsi e non una relazione particolare

"Se si dà solo in analisi, non serve a niente. Non è neanche un'intersoggettività, è falsa. Perché l'intersoggettività deve essere un modo di relazionarsi, e non implica soltanto una relazione particolare, tra me e te, tra tizio e caio. L'intersoggettività è una modalità di atteggiarsi nella relazione con il mondo intero. Anche nei confronti del tuo corpo, dell'evento, anche nei confronti del sasso contro cui tu sbatti il piede. Se tu cogli nell'altro una Presenza, un evento, che si fa soggetto attivo, che ti induce a riflettere, questo è un rapporto intersoggettivo." [...]

Una fondamentale citazione da "L'uno el'altro"

"“Il primo bisogno del soggetto per essere tale è l’esistenza di un altro da sé. Molte sono le forme sotto le quali questo altro si fa presenza agli occhi dell’uomo: può essere, di volta in volta, il mondo esterno, ovvero il mondo delle cose e dei valori sociali, o il mondo interno, ovvero il mondo dei pensieri e degli affetti; può essere il Tu umano, l’altro dell’incontro, o il Tu interiore, l’altro cui l’uomo si riferisce quando è con se stesso; può essere la corporeità dell’uomo o i suoi comportamenti o i suoi modi di rapportarsi al mondo, nel momento in cui egli se ne distacca per riconoscerli e riferirli a sé; può essere infine l’uomo nella sua globalità, quando l’uomo stesso prende da se medesimo la distanza necessaria per definirsi in una identità. Ma comunque questo altro si costituisca, la sua funzione resta sempre quella di consentire all’uomo di riconoscersi come esistente” (pp. 74-75).

[...] In queste poche parole c'è tutto. Infatti dico: [continua a leggere] “Non è qui forse la radice del rapporto intersoggettivo che a me si rivela, quale possibile condizione felice dell’essere con nella reciprocità del dare e del ricevere, dell’agire e del patire, senza altri bisogni se non quello dell’esserci delle due presenze?” (pg. 75). Vedi? "Non è qui forse la radice"?

Intervistatore: In questo senso l'analisi è il luogo dove si scopre e si impara il metodo.

Silvia Montefoschi: "Certo, perché l'altro come "tu umano" diventa l'altro soggetto che agisce su di te in quanto ti rende possibile attuare la tua soggettività. Per cui tu ti riconosci come soggetto al cospetto dell'altro soggetto. La libertà del soggetto [legge] “di compiere l’azione del riferire a sé l’esperienza esistenziale sia che egli l’agisca, sia che la patisca” (pg. 75). Tu mi parli, e io sono soggetto, anche nell'accogliere. Non sono soggetto solo nell'agire, ma anche nell'accogliere. Qui lo dice [legge]: “Questa libertà si colloca proprio nella disponibilità cosciente ai momenti della dialettica relazionale, in quanto solo se l’uomo è libero di dare il consenso all’atteggiamento attivo o all’atteggiamento passivo, nei confronti della stessa vicenda relazionale, può porsi in essa come Presenza, che a sé la riferisce per farne l’esperienza, e non smarrirvi dentro la propria identità” (pg. 75).Questa è la libertà. Io sono soggetto anche nel patire. Infatti, anche sintatticamente esistono i verbi passivi che hanno il soggetto.Vedi [legge nuovamente]: “Non è forse questa la libertà che sperimento, nel rapporto col paziente, quando esco dall’esclusività del ruolo cui l’altro mi costringe con la sua aspettativa? La libertà di agire e di patire, così come di volta in volta il momento dialogico mi rivela a me stessa, senza più la paura di deludere l’altro e distruggere così la relazione” (pg. 75).

L'io del soggetto riflessivo ancora individuale

"[...] l'io è nella struttura del Soggetto Riflessivo Individuale, che sa di sapere di sé come soggetto e dell'altro come oggetto. E quindi tu devi difendere la tua soggettività, pena cadere come oggetto del sapere dell'altro. Per cui meglio non parlare, sto zitto, se no chissà che cosa l'altro fa di me. La persecutorietà è la conseguenza sempre dell'Io come unico soggetto. Perché per l'io o sei soggetto o sei oggetto. Dato che il sistema è quello: il soggetto sa di sapere di sé e dell'altro da sé come oggetto. Che poi è la struttura del sistema di conoscenza dell'uomo."

E' un lavoro continuo fino a che non si realizza l'intersoggettività con Dio

"Ogni volta l'intersoggettività è una modalità da raggiungere, perché il contesto -e non solo il contesto fuori di te ma anche quello dentro di te- ti ripropone costantemente la vecchia modalità interdipendente di relazione. Anche chi si sente liberato dalla dipendenza e dal giudizio altrui, ricade nella vecchia memoria. Perché? Perché l'identità è data dall'essere riconosciuto dall'altro e quindi dall'adeguarti all'aspettativa che l'altro ha di te. Quindi all'inizio liberarsi dal giudizio è vissuto come un non aver più bisogno di un riconoscimento da parte dell'altro per il tuo stesso esserci. Cosa pressoché impossibile, perché tu non ci sei se non sei riconosciuto. Solo che devi arrivare a riconoscere la tua identità in una dimensione superiore. Il discorso si allarga in tanti modi. Quando Giordano Bruno è stato condannato, secondo me non c'è stato giorno più bello della sua vita se non quello in cui è andato sul rogo. In quel momento [lo dice con enfasi, sospirando] lui entrava nella storia. Non è che perdeva l'identità perché il mondo circostante dell'epoca non lo riconosceva, perché lui era riconosciuto, e si sentiva riconosciuto -quindi aveva un'identità- nella storia. Non è che lo scrittore solitario misconosciuto dall'epoca in cui vive non ha un'identità. Lui si sente riconosciuto dal filum evolutivo del pensiero umano."

[...]

"Fino a che non si realizza l'intersoggettività con dio ... E' solo quella l'unica intersoggettività che ti rende sicuro, ti garantisce e ti consente di sfidare anche l'abbandono dell'altro, pur di raggiungere la stessa intersoggettività. Tanto tu, solo non resti. Perché non puoi restare solo. Non esiste l'esser solo. Non ci sei da solo."

"[...] ma la cosa importante è comunque che tu trovi la tua intersoggettività con dio. In altre parole, a me può sputare in faccia il mondo intero ... Io non crollo, perché io so di essere in relazione con la Presenza infinita."

Giovanni

Silvia Montefoschi: [...] cosa mi ha consentito di leggere l'interdipendenza dal punto di vista dell'intersoggettività, e di rompere l'interdipendenza anche nella vita? Come tu sai, io sono del 1926, non mi sono mai sposata, ho sempre fatto scandalo e ho rotto con i vari modelli dati. Mi ricordo quando mi misi a far l'amore con l'operaio di mio padre che scatenò l'ira di dio, te l'ho pure raccontato no? Non ero degna del nome dei Montefoschi. Cos'è che mi ha consentito tutto questo? Avere già un rapporto intersoggettivo, se no non avrei potuto."

[...]

Silvia Montefoschi: La mia esperienza mistica dell'adolescenza. Il mio aver vissuto fortemente nell'adolescenza il rapporto con il divino, che poi era l'immagine di Gesù, del Cristo. Che poi si chiamasse Cristo, che fosse la lettura di Giovanni, che fosse Giovanni, che fosse Dio, era tutt'uno. Era colui che è. E che mi ha accompagnato tutta la vita. Io ho avuto tanti amanti, ma il mio amante vero è sempre stato Lui. Io riferivo a Lui, non è che non amassi, io amavo molto, totalmente, il mio compagno ...

Intervistatore: Ma vedendo in lui la presenza di Lui con la elle maiuscola.

Silvia Montefoschi: Certo. Quindi è molto importante l'esperienza religiosa, che poi “religioso” non è altro dalla vita, è cogliere il senso vero [con enfasi] del divino.

Intervistatore: Riporre la propria Presenza nel Tutto è l'unico modo per vivere l'intersoggettività. Nel senso che poi, per quanto si debba avere a che fare con la propria identità intesa in senso immanente e limitato, anche questa identità immanente perde d'importanza.

Silvia Montefoschi: Si, la tua identità è eterna, è storica, se non vogliamo usare la parola eterna. L'identità contingente no.

Quella si può ogni volta lasciare.

Certo, certo, ti crolla addosso come la muta del serpente. Non ti importa niente, ti va via.

Intervistatore: E questo è quello che avviene anche nel rapporto analitico. Si può uscire da questo rapporto soggetto-oggetto, che poi è l'interdipendenza, solo nel momento in cui, costantemente, ci si riconosce come soggetti nella Presenza del Tutto.

Silvia Montefoschi: E infatti, vedi, il tutto va riletto dagli ultimi miei libri. Io consiglio sempre di iniziare dagli ultimi libri, perché i primi sono compresi in essi come le matrioske: alla luce del punto di arrivo, si rilegge tutto in una maniera diversa.


Commentario di Andrea Morelli

Come potete vedere all'ultimo, al termine di questa intervista, avviene come un fenomeno paranormale e sembra quasi che Giovanni stesso, smettendo di fare "lo spettatore", irrompe nell'intervista e si incarna nell'intervistatore stesso che infatti cessa di essere l'intervistatore e diviene Silvia Montefoschi stessa e Giovanni infatti non è altro da Silvia e da intervista si fa "duetto dell'uno" dove l'intervistatore non domanda più, ma diviene parte di un unico discorso cioè è Silvia stessa che dice sia come Silvia e dice sempre Lei anche come intervistatore.

E del resto non poteva essere che così poichè una volta evocato Egli si fa presente.

Qui non soltanto Silvia, potremmo dire "se la canta e se la suona" ma anche Giovanni stesso "se la canta e se la suona".

E non lo sto dicendo evidentemente in senso dissacratorio anche se potrei darlo a pensare ma anzi sono consapevole di parlare di epistemologia poichè questa è proprio la definizione di "scienza" di "scienza vera" che non può non coincidere con la stessa intersoggettività che è appunto canto e solo canto: il duetto dell'uno.

E io stesso in questo momento, in questo cantare che è sia un produrre scienza che un produrre poesia, sono Giovanni e sono Silvia: sono AndreaThérèse una sola persona con il prototipo dell'archetipo dell'ultima coniuctio GiovanniSilvia alfa e omega di tutto ciò che è.

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