Perchè il processo di individuazione oggi è anche un processo di spersonalizzazione?

Da LogicaUnitaria.

"Il massimo di spersonalizzazione corrisponde al massimo di personalizzazione" (Silvia Montefoschi, biologa e medico-psicoanalista)

Questo afferma Silvia Montefoschi parlando degli esiti ultimi della storia della psicoanalisi ovvero la nuova psicoanalisi oltre la psicoanalisi che fa infine del concetto di "Pensiero Uno" la chiave di volta della sua arte ermeneutica.

Occorre sacrificare la propria identità individuale fino a far coincidere la nostra storia personale con la storia del pensiero tutto.

Ciò verso cui andiamo non è Internet 3.0 o cose simili come molti acculturati più tecnologicamente magari pensano ma stiamo andando verso l'abolizione del tempo.

Il tempo tuttavia di per sè non esiste: esiste solo lo spazio-tempo perchè il tempo e lo spazio sono la stessa cosa ma lo spazio-tempo a sua volta è ciò in cui consiste la massa, sia la massa materiale sia la massa immateriale costituita dai pensati che compongono la nuova noosfera oltre la precedente biosfera.

Il processo dunque che stiamo vivendo in quest'ultima epoca che già è post-apocalittica, è il processo di demassificazione tutt’uno con il processo di spersonalizzazione.

Questi termini tuttavia non indicano altro dall'unico processo di individuazione universale rispetto al quale tutto ciò che è è sottomesso come una sorta di strada maestra dell'evoluzione comune a tutto ciò che è, una sorta di fiume in cui tutti i torrenti e ruscelli infine sfociano, una sorta di albero genealogico con il suo tronco verticale e i suoi tanti rami orizzontali in cui tutto si colloca.

L'Uno, intendo l’uno vero, è già nato ma ancora conserva la memoria di quando non era ancora Uno ma solo Uni-verso.

Occorre pazienza, tanta pazienza e soprattutto occorre non indugiare nella memoria: questo è il compito delle avanguardie, coloro che chiamiamo anche “mutanti” in quanto quella minoranza di esemplari umani attraversati dall’ultima mutazione.

Sempre su questa memoria che dobbiamo smaltire come se si trattasse di una sorta di sbronza, così diceva Silvia Montefoschi, una affermazione quest'ultima decisamente scandalosa se pensiamo che invece molti al contrario ritengono e non solo a causa della "Shoa" della seconda guerra mondiale, che "occorre ricordare se non vogliamo ripetere".

La cosa è però tragica e comica nello stesso tempo perchè costoro ricordando preparano proprio quella ripetizione che invece nelle intenzioni non vorrebbero: è terribile tutto ciò.

Al contrario la discendente di Freud e Jung, l'ultima psicoanalista, ci mette in allerta da un simile modo di operare:

"Chi ricorda è costretto a ripetere" (Silvia Montefoschi)

E invece è proprio così che si generano gli "acting out" cioè la simbiosi tra l'uno e l'altro del discorso, quella simbiosi in cui consiste e alimenta l'interdipendenza ossia la negazione dell'altro che è un vero crimine di natura ontologica, un crimine che è anche un suicidio. E' inutile poi ché la gente piglia una due lauree, titoli e pezzi di carta a non finire, se poi uccide l'altro e con l'altro pone fine alla sua evoluzione.

Come possiamo chiamare coloro che ricordano?

Feticisti.

Attenzione però a non equivocare: i feticisti non sono i cattivi ma sono gli esseri umani, ed è impossibile non essere feticisti se si è un essere umano in quanto gli esseri umani sono proprio coloro che essendo "malati" di antroporiferimento non ripongono la loro identità nell'infinito pensarsi del pensiero ma la ripongono nella sua ultima tappa evolutiva che è appunto la specie umana che a tutt'oggi è gerarchicamente la forma della vita più evoluta. Le piante infatti pensano e anche gli animali pensano ma l'essere umano uomo o donna che sia oltre a pensare sa anche di pensare. Ciò che invece l'essere umano, uomo o donna che sia non arriva, è riporre l'intera propria identità nell'essere solo soggetto pensante e non ci arriva proprio perchè dà ancora significatività non solo al suo psichismo ma anche alla sua vita corporea che invece ormai giunti al termine della storia unviersale è divenuta insignificante.

Superare un tale feticismo pertanto equivale a intraprendere quel nuovo cammino che la natura ha intrapreso recentemente e che chiamiamo "processo di transumanizzazione" grazie al quale il corpo si fa spirito e lo spirito si fa corpo.

Questo trapasso evolutivo si sintetizza nelle parole d'ordine:

1. Abbandonare l'anima (lo psichismo): l'anima vera cioè l'Altro, infatti non è fuori di noi ma è in noi stessi in quanto siamo noi stessi a essere anche l'Altro.

2. Abbandonare il corpo.

In questo articolo abbiamo parlato di "pensiero" e dell'attività del "pensare", questo però può indurre a equivoci che ormai ci sono ben noti, quindi occorre precisare che il pensiero in realtà non è il pensiero o meglio è un organo di percezione, uno strumento di percezione e che pertanto non serve per pensare ma per sentire.

Non è una novità questa definizione di "pensiero" in quanto la troviamo già per esempio nella "Critique de la raison dialectique" pubblicata nel 1960 che il fenomenologo. esistenzialista e marxista oltre che studioso del fenomeno dell'immaginazione, così descrisse il pensiero:

"Il pensiero serve per rendere presente ciò che è assente." (J. P. Sartre)

Non so se Silvia Montefoschi sarebbe d'accordo con questa definizione ma la cito ugualmente come una definizione che va nella direzione che qui descriviamo: è infatti quell'"assente" che ci rende dubbiosi dato che Silvia Montefoschi ha sempre ritenuto più realistica la concezione per cui "il simbolico coincide con il reale" e non credo proprio che l'esistenzialista-marxista Sartre sarebbe stato d'accordo con una tale definizione ceh praticamente rende sinonimi il simbolico e il reale.

In riferimento all'equivoco possibile di cui abbiamo parlato all'inizio di questo discorso, Silvia Montefoschi, l'ultima psicoanalista che chiude la storia centenaria della psicoanalisi, afferma:

"E il pensiero infine cessa di pensarsi per più solo sentirsi."

Così termina infatti la storia dell'universo che non è altro che la storia del pensiero.

Noi non siamo quindi tizio/a, caio/a o sempronio/a, ma siamo più solo il Pensiero Vivente che è anche l'Unico Individuo (l'Uno sì ma l'Uno-Duale).

Ecco perchè occorre riporre nel Pensiero Vivente la propria vera identità, cioè spersonalizzarci fin da subito perchè altrimenti è il Pensiero Vivente stesso che si sbarazzerà di noi come un suo ricordo di una tappa del suo infinito andare oltre ogni ricordo.

Noi esprimiamo quanto detto, dicendo anche che "occorre morire prima di morire", o anche che bisogna fare in modo che la morte quando arrivi ci trovi già morti così non potrà ammazzarci.

Chi siamo noi?

Siamo il Pensiero Vivente o siamo già un ricordo del Pensiero Vivente di cui il Pensiero Vivente ancora non è riuscito a sbarazzarsi?

In ogni caso raggiunti i 70/80 anni in media i ricordi scadono dato che anche i ricordi hanno una data di scadenza più o meno lontana nel tempo e il Pensiero Vivente si libera comunque da una tale zavorra, così ritorna anche lucido dopo la sbornia in cui delirava di essere tizio/a o caio/a, convintissimo di essere proprio tizio/a o caio/a mentre invece era solo il Pensiero Vivente che temporaneamente si era dato la forma di Tizio-a o Caio/a.

Attenzione però a non cadere nell'equivoco opposto: non è che Tizio/a o Caio/a non esistono: esistono ma sono il Pensiero Vivente. Questo è stato l'errore degli introversi e anche delle civiltà, filosofie e religioni orientali a cui in occidente ha dato luogo al dopo Hegel in una guerra tra Hegel e gli hegeliani da una parte e gli esistenzialisti o comunque gli individualisti dall'altra ritenendo tali pensieri astrattezze in quanto invece, a loro dire da Max Stirner in poi, solo il singolo individuo in carne ed ossa è veramente reale.

Avendo accettato tali critiche all'universale astratto diciamo invece che non è che Tizio/a o Caio/a non esistono: esistono ma sono il Pensiero Vivente.

Attenzione però: lo sono il Pensiero Vivente se lo sanno e se non lo sanno pazienza: avanti la prossima generazione per terminare il lavoro che si tramanda di spocie in specie e di generazione in generazione fino al momento in cui terminate le simboliche otto ore di lavoro che sono già 13,7 miliardi di anni di storia del lavoro, si potrà infine timbrare il cartellino di fine orario di lavoro.

Termina così la storia del lavoro (umano e non-umano) tutt'uno con la storia dell'uni-verso.

Chi troverà la forza, l'intelligenza e magari anche avrà la fortuna di riuscire a spersonalizzarsi infine si salverà e gli altri amen.

Ecco perchè diciamo che la psicoanalisi più che una tecnica psicoterapeutica si è rivelata infine essere invece l'ultima arca di Noè e del resto già Sigmund Freud l'aveva intuito dicendo che "la psicoanalisi è più che una pratica medica per curare le nevrosi ma è invece sopratttutto un metodo di conoscenza: si guarisce anche ma la guarigione è solo un effetto secondario della conoscenza acquistata con questa relazione a due particolare che è la psicoanalisi"


Non capisco quindi i pessimisti: certo è la fine del mondo, l'apocalisse, e tuttavia anche in questa ultima epoca storica proprio come ai tempi del diluvio universale è apparso un nuovo Noè con la sua Arca, un Arca però in cui a differenza della prima Arca descritta nel "Libro dei Libri" ci sarà posto per una sola specie, la specie umana o meglio per quella minoranza di umani che hanno accettato di morire al loro essere umani troppo umani, vale a dire coloro che hanno portato a compimento il processo di spersonalizzazione.

Rimaniamo umani?

Meglio di no.

Ma allora stando così le cose chi sono in realtà in DUE dell'UNO?

Sono il Pensiero stesso che percepisce il Pensiero stesso come realtà concreta e vivente e non più semplicemente come "il pensiero": sono l'uno e l'altro del Pensiero Vivente e posiamo anche dire che sono "I DUE DELLA PSICOANALISI" proprio perchè la psicoanalisi è una relazione e niente altro che una relazione che a differenza di altre relazioni e anche delle relazioni psicoterapeutiche, non ha alcuna finalità esterna a questa stessa relazione psicoanalitica.

Una psicoanalisi pertanto non termina mai ma è interminabile non perchè fallisce ma perchè l'amore vero è interminabile e termina con l'incontro stesso che però è interminabile. Il concetto di "infinito" infatti non è un concetto temporale come invece molti equivocano assimilandolo a un tempo che non finisce mai.

Da quanto detto se ne deduce che il pensiero psicoanalitico costituisce anche la critica più radicale che sia mai stata fatta alle correnti di pensiero utilitaristiche e pragmatiste. Chi infatti cerca di asservire l'incontro psicoanalitico a qualcosa che sia altro dalla relazione psicoanalitica stessa, ipso facto si pone fuori da se stesso dal movimento rivoluzionario psicoanalitico per cui non c'è bisogno nè di scomuniche nè di organi preposti alla scomunica che decide quale è l'ortodossia psicoanalitica e chi invece sono i Giuda della psicoanalisi, in quanto gli utilitaristi da se stessi si mettono al di fuori della comunione con tutti i mutanti dell'universo terrestri o extraterrestri che siano che sono tanti pur essendo una minoranza e che ancora, pur avendo tanti nomi sono comunque una sola persona (duale) che noi chiamiamo GiovanniSilvia che è il nome della RELAZIONE INTERSOGGETTIVA RADICALE ma, sempre GiovanniSilvia, hanno anche altri nomi ma sempre di GiovanniSilvia si tratta in quanto prototipo del nuovo archetipo dell'ultima coniunctio che dà nascita ai gemelli.

"Solo coloro che si fanno identici e non i diversi possono congiungersi veramente" (Silvia Montefoschi)

La relazione: alfa e omega.

La relazione e la sua storia evolutiva: dalle prime particelle di materia e anti-materia alla relazione psicoanalitica.


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